Storia
Uno sguardo intelligente e acuto verso un luogo da costruire come scrigno, un luogo dove potersi rifugiare, anche senza averci mai abitato. Una vita alla ricerca della perfezione. Non una perfezione fine a sé stessa, ma una perfezione che placa l’animo inquieto e risolleva lo spirito. Le opere d’arte non lo potevano deludere, non lo dovevano deludere. Per questo le sapeva scegliere con così grande accuratezza. E con esse preparava un tempo successivo, un tempo dopo il tempo della propria vita, il tempo nostro.
Un imprenditore innovatore alla ricerca della perfezione
La vicenda imprenditoriale di Francesco Federico Cerruti ha come sfondo la parabola della Torino industriale, a partire dagli anni del «miracolo economico», a metà degli anni cinquanta, in cui si consolida l’immagine della città «one company town», espressione forse un po’ eccessiva, e si chiude tra gli anni ottanta e novanta, quando prende avvio la cosiddetta fase postfordista coincidente con la deindustrializzazione del territorio urbano.
Capitale industriale della nazione tra gli anni cinquanta e sessanta, epoca in cui il mercato si espande maggiormente sia per la domanda interna sia per le esportazioni, Torino subisce trasformazioni radicali durante il passaggio dall’internazionalizzazione alla globalizzazione, una transizione segnata prima dalla crisi petrolifera del 1973 e, in seguito, dall’avvio delle politiche neoliberiste e dall’introduzione della tecnologia informatica negli anni ottanta. Come è ben noto, queste fratture di natura economica, tecnologica e politica hanno inciso profondamente sulla fisionomia e sull’identità di Torino, determinando la fine della cosiddetta «cittàfabbrica».
Questa suggestiva storia industriale torinese della seconda metà del Novecento la si deve a protagonisti, molto attivi sulla scena locale e nazionale, che appartengono a due mondi imprenditoriali che «convivono fianco a fianco senza mai incontrarsi»: da un lato la grande impresa, come la Fiat, agganciata al ciclo internazionale dell’organizzazione del lavoro fordista e di produzione di massa, dall’altro il capitalismo familiare, rappresentato dalla piccolamedia impresa che costituisce il tessuto principale dell’industria manifatturiera torinese.
All’interno di questo contesto variegato e complesso si inseriscono la figura e l’attività di Francesco Federico Cerruti, strettamente legato alla tradizione del lavoro e della cultura torinese. Con l’ausilio delle fonti orali e scritte, è stato possibile tracciare un primo profilo biografico dell’imprenditore in cui emergono alcune peculiarità: la sua operosità, la sua dedizione al lavoro e i suoi molteplici interessi, tratti tipici della business community piemontese. Il primo interrogativo cui si è tentato di rispondere è a quale tipologia di imprenditore egli appartenga: la dinastia o la famiglia imprenditoriale, l’imprenditore innovatore, il manager o l’uomo d’affari che sa cogliere le opportunità del mercato.
Attraverso i racconti di chi lo ha conosciuto emerge il profilo di un capitano d’industria caratterizzato da una notevole dinamicità e intraprendenza e di un uomo carismatico, di grande intelligenza, dal carattere complesso ed esigente, a tratti severo ma disponibile al gioco, allo scherzo fino a sconfinare nella poesia, dilettandosi a scrivere versi dedicati ai suoi affetti più cari, agli amici e collaboratori.
Francesco Federico Cerruti nasce a Genova il 1° gennaio 1922 da Giuseppe (1890-1972) e da Ines Castagneto (1892-1977). Il padre, di modeste condizioni economiche e dipendente di una legatoria genovese, si trasferisce con la famiglia a Torino all’inizio degli anni venti. I rapporti della famiglia con Genova non verranno mai interrotti sia per i vincoli di parentela sia per un profondo legame affettivo con la città.
Benché residenti a Torino, i genitori scelgono di far nascere il primogenito nella casa genovese della madre, a riprova del loro attaccamento al capoluogo ligure. Secondo la testimonianza della figlia Andreina, Giuseppe è inviato nella città subalpina per aprire una succursale. Nel febbraio 1923, come si evince da una lettera inviata dal segretario della Regia Scuola Tipografica e di Arti affini al «direttore Sig. Cerruti», la ditta artigianale è denominata Legatoria Cooperativa e si trova in via Barolo 19, presumibilmente via Giulia di Barolo nel quartiere Vanchiglia, non lontano dal centro cittadino. Questo borgo, tradizionalmente occupato da attività artigianali e dalla piccola industria, diventa lo scenario delle vicende private e aziendali della famiglia fino agli anni quaranta.
Come ricorda sempre Andreina, ben presto Giuseppe si mette in proprio avviando un’attività di legatoria a conduzione familiare in cui anche i figli, in età scolare, sono coinvolti direttamente. Nel febbraio 1925, infatti, il padre costituisce una società in accomandita semplice insieme a Domenico Matta e alla Società An. G. B. Paravia scegliendo la denominazione Legatoria Industriale Torinese (Lit) e mantenendo la sede in via Barolo 19.
La piccola impresa di famiglia si inserisce in uno scenario industriale, tecnologico e culturale molto dinamico negli anni venti e trenta, e, soprattutto, in un settore artigianale che può vantare una gloriosa e antica tradizione, quella della legatoria piemontese. A quell’epoca il mercato editoriale è molto promettente: il settore dell’editoria torinese è rappresentato da importanti case editrici e da un insieme di iniziative e imprese culturali, giornalistiche ed editoriali di respiro internazionale.
Contemporaneamente, Torino si sta trasformando in un laboratorio di sperimentazione e di innovazione tecnica, e gruppi industriali e finanziari privati promuovono nuovi investimenti infrastrutturali che modificano e modernizzano la città, offrendo nuovi servizi ai cittadini, come il telefono. Il padre Giuseppe probabilmente intuisce l’importanza sia tecnologica sia economica del settore telefonico e nel 1930 avvia i primi contatti con la Seat (Società anonima Elenchi ufficiali per gli Abbonati al Telefono).
Nonostante la crisi economica generale, dovuta al crollo finanziario del 1929, a causa del quale anche Torino è costretta ad affrontare un periodo difficile, la Lit inizia a crescere grazie alle sue capacità di diversificare la produzione: si occupa non solo di legatoria artistica di stile antico e moderno ma anche della fabbricazione di registri, copialettere, campionari, cartelli réclame, scatole per uffici. L’incremento dell’attività obbliga a ricercare uno spazio più ampio e nel luglio 1930 il suo proprietario decide di affittare alcuni locali in corso San Maurizio 29, non molto distante dalla sede precedente.
A conferma dello sviluppo della ditta, un anno e mezzo dopo, nel 1932, Giuseppe Cerruti si accorda con il locatore per ampliare ulteriormente i locali affittati e tale scelta risulta opportuna perché nel 1934 la Lit ottiene l’incarico esclusivo di confezionare gli elenchi telefonici di quasi tutto il Paese. La rete del servizio telefonico è ripartita in cinque aree su tutto il territorio nazionale e alla Lit sono assegnate la prima, seconda, terza e quinta zona.
In questa fase di espansione dell’azienda la produzione subisce una repentina trasformazione sul piano tecnologico, evidenziata dal passaggio dalla tecnica di cucitura dei volumi con il sistema del filo metallico a quello cosiddetto a filo refe, ossia con l’utilizzo di un filo di cotone, lino, canapa o sintetico.
L’espansione produttiva richiede la necessità di possedere nuovi magazzini e a partire dal dicembre 1937 Giuseppe Cerruti sottoscrive una scrittura di locazione di locali sotterranei in corso Regio Parco al numero 1. Alle soglie della guerra la Lit dimostra di essere un’azienda molto ben avviata, come si evince da un elenco dei numerosi macchinari per la lavorazione, comprendente cucitrici a filo refe e piegatrici automatiche della ditta Brehemer.
Gli anni della giovinezza di Francesco Federico, dunque, scorrono in una città vivace, moderna e fervida di idee, nonostante la grande crisi che si abbatte sull’economia cittadina e le ristrettezze dettate dal regime fascista. Quest’ultimo impone la politica dell’autarchia, tuttavia non trova nel capoluogo piemontese il grande consenso e il dinamismo organizzativo presente in altre città italiane.
L’ambiente familiare in cui Francesco Federico cresce è austero ed è caratterizzato da una grande devozione al lavoro, cifra del mondo industriale piemontese e, in particolare, dell’intera esistenza dell’imprenditore. Una poesia scritta dal giovane Cerruti all’età di quindici anni tratteggia un profilo del padre a cui dedica alcuni significativi versi in occasione del suo onomastico, definendolo «indefesso ed abile di libri legatore». I genitori impartiscono un’educazione rigida che influirà molto sulla formazione e sul carattere di Francesco Federico. Nel corso della sua esistenza, egli assume uno stile di vita molto sobrio, dai tratti intransigenti. Anche la scelta di diplomarsi in ragioneria rivela una visione pragmatica e professionale del proprio futuro.
L’Italia entra in guerra il 10 giugno 1940 e nel luglio dello stesso anno Francesco Federico termina gli studi presso l’Istituto tecnico commerciale Germano Sommeiller, che annovera tra le sue fila docenti come Luigi Einaudi e allievi come Giuseppe Saragat, Luigi Einaudi e allievi come Giuseppe Saragat, mentre l’anno successivo Andreina ottiene il diploma di scuola superiore presso l’Istituto Magistrale Domenico Berti e inizia a lavorare nella ditta di famiglia. Nel settembre 1940 Francesco Federico si iscrive alla Facoltà di Economia e Commercio e segue regolarmente i corsi fino al 1943. I registri testimoniano la sua attiva partecipazione alle lezioni universitarie dimostrando una spiccata attitudine per materie come ragioneria, statistica ed economia politica, di cui può vantare il massimo dei voti.
Questa fase della vita dedicata allo studio è fondamentale per la sua formazione e per la sua cultura di imprenditore e si svolge all’interno di un prestigioso ambiente universitario, che fa riferimento alla «Scuola di Economia di Torino» rappresentata da una schiera di notevoli studiosi, fra i quali Luigi Einaudi. Le ragioni della mancata laurea sono molteplici, tenendo conto delle numerose difficoltà provocate dal conflitto bellico. Tra il 1942 e il 1946 la produzione della Lit subisce una notevole diminuzione e gli elenchi del telefono sono sostituiti da bollettini di aggiornamento. Il ritardo nel trasferimento degli impianti insieme a quelli della Tipografia Stet in una zona più sicura ha conseguenze gravi. In particolare, oltre ai molti disagi patiti, il periodo bellico segna profondamente la vita della famiglia Cerruti: i bombardamenti del 15 luglio e del 13 agosto 1943 distruggono completamente l’azienda, ubicata in corso San Maurizio.
Nell’autunno 1943 l’Italia è divisa in due parti distinte, in lotta l’una contro l’altra. In questo contesto la famiglia tenta di riprendere in mano la propria vita e l’attività. Nonostante la perdita totale di quasi tutto il macchinario e parte delle materie prime che ha messo in ginocchio l’azienda, la merce conservata nei magazzini sotterranei di corso Regio Parco è trasportata fuori città, a San Sebastiano Po, in una proprietà del conte Cordero di Vanzo. Nel frattempo Giuseppe e i suoi famigliari allestiscono un piccolo laboratorio in cui iniziano a installare alcuni macchinari nuovi. La distruzione della Lit crea una tale emergenza e difficoltà di gestione che nel 1944 la Seat, che allora può contare su una cinquantina di dipendenti, decide di prendere in affitto l’azienda e di assumere temporaneamente padre e figlio Cerruti.
In questa fase molto concitata della storia italiana, la famiglia Cerruti si impegna a portare avanti la sua attività sempre in stretta sinergia con la società degli elenchi telefonici strettamente legata al gruppo della Sip. In quegli anni ai vertici sia della Sip e sia della Stet c’è l’avvocato Attilio Pacces, rispettivamente direttore generale e vicepresidente, impegnato nella fase più cruciale della Resistenza a gestire una organizzazione informativa clandestina attraverso la rete telefonica, attività preziosa nei giorni della Liberazione. Padre e figlio Cerruti sono in contatto con l’avvocato Pacces, rapporto che prosegue anche al termine del conflitto, fino al 1956, anno della sua scomparsa.
Dalla documentazione redatta per la richiesta di riparazione dei danni di guerra, emerge il profilo di un’azienda che fino ai primi anni quaranta lavora per i più importanti enti e le più prestigiose società dell’epoca: Eiar, Fiat, Lancia, Lattes, Nebiolo, Paravia, Stipel, Set, Seat, Sei, Sip, Timo, Telve, Unione Italiana Fabbricanti Autoveicoli. Per la casa editrice Paravia fornisce numerose lavorazioni riguardanti vocabolari di lingua italiana e straniera, dizionari di musica, pubblicazioni di storia, letteratura e romanzi di avventura, in particolare le opere di Emilio Salgari.
Nell’immediato dopoguerra la Lit recupera la sua capacità produttiva e nel 1949, riacquistata la piena autonomia, si avvia a diventare ben presto un’impresa leader nel suo settore. La Seat riprende il processo di acquisizioni di altre aziende minori e negli anni cinquanta, con la pubblicazione degli elenchi della Teti, assume il ruolo di unica editrice telefonica per l’intero territorio nazionale. La trasformazione della società italiana negli anni del boom economico, in cui inizia a diffondersi uno stile di vita votato al consumismo, è testimoniata anche dall’aumento degli abbonati al telefono che dal 1954 al 1963 passano da un milione e mezzo (di cui 931.000 privati) a circa quattro milioni. Questi mutamenti finanziari e sociali hanno un enorme impatto sulla Lit. La confezione degli elenchi è eseguita in cartonatura rigida fino alla metà degli anni cinquanta, quando avviene una «rivoluzione» nella produzione: nel nuovo stabilimento di via Pianezza è introdotta una nuova tecnica di lavorazione in perfect binding, che permette la rilegatura senza cucitura, consistente nell’uso di adesivo vinilico sul dorso del volume, e che abbatte i costi della fabbricazione.
L’inserimento di questa innovazione, dovuta a un viaggio negli Stati Uniti del ragioniere a metà degli anni cinquanta, rivoluziona l’azienda attraverso un processo di meccanizzazione della produzione: la piccola attività familiare si trasforma in una vera industria della legatoria; l’introduzione del macchinario americano porta la Lit ai massimi livelli di fabbricazione, grazie alla quantità di commesse inerenti alle rilegature di libri d’arte (tra i suoi clienti si possono annoverare importanti case editrici quali Allemandi, Einaudi, Franco Maria Ricci, Mondadori, Rizzoli), ma soprattutto alle guide telefoniche italiane, appalto assegnato dalla Seat per lungo tempo, fino alla metà degli anni novanta. Poiché è la prima azienda ad avere un impianto di questo tipo in Italia, la Lit avvia la produzione a catena con macchine separate secondo il sistema della raccolta, copertinatura e taglio. Nel corso degli anni le lavorazioni si modernizzano con il passaggio da manuale a meccanico, fino all’automazione e alla robotizzazione.
L’andamento positivo della produzione obbliga a soddisfare l’esigenza di nuovi spazi: nel 1956 l’azienda si trasferisce nel nuovo stabilimento di via Ludovico Bellardi e successivamente, nel 1969, in quello di Cascine Vica (Rivoli), alle porte di Torino. Questo ulteriore ampliamento aziendale, che permette di far fare un «salto di qualità» alla legatoria, è determinato dal lancio delle «Pagine Gialle», promosse dal 1966 dalla Seat inaugurando un nuovo sistema di pubblicizzazione commerciale. Il numero dei dipendenti raggiunge la cifra di 150, impegnati nei diversi processi della lavorazione.
La caratteristica della Lit sta nella sua capacità di innovazione e di seguire il progresso tecnologico, mantenendo ai massimi livelli gli impianti per fornire un prodotto in grado di soddisfare le richieste e di adeguarsi al costante incremento dello sviluppo dei collegamenti telefonici negli anni settanta e ottanta. Con l’introduzione delle nuove tecnologie digitali e con l’uso sempre più diffuso dei cellulari, l’azienda sarà costretta a chiudere nel settembre 2013.
All’attenzione per l’innovazione corrisponde anche una presa di coscienza dell’importanza del proprio lavoro, che porta Cerruti a intrecciare rapporti con altre realtà aziendali testimoniando come egli non sia un imprenditore isolato. Il 10 gennaio 1969 Cerruti, insieme ad altre ditte locali rappresentanti l’attività industriale e artigianali della legatoria, costituisce l’Associazione Italiana Aziende di Legatoria per la tutela degli interessi, per prestare opera di assistenza e fornire pareri e consulenze agli associati.
La dedizione di Cerruti per l’attività legatoria si rivela anche nella scelta di vivere in via Bellardi, in un appartamento sistemato nella stessa area della fabbrica, in una zona periferica della città. All’etica del lavoro, basato sulla serietà e sul rigore, atteggiamento tipico del capitalismo familiare subalpino, il ragioniere affianca grandi capacità organizzative e spirito innovatore. Questo suo profilo, pertanto, si colloca in quella tradizione piemontese di imprenditori innovatori che trova esponenti di spicco, ad esempio, in Adriano Olivetti e Michele Ferrero, ma che ha anche numerosi rappresentanti meno noti però capaci di grandi visioni innovatrici, come lo stesso Francesco Federico. Nella percezione di coloro che hanno lavorato con lui e che lo hanno conosciuto, emergono qualità dell’uomo d’affari come l’affidabilità e l’etica imprenditoriale.
Vi è poi un secondo elemento che caratterizza il suo profilo biografico e che lo inserisce in un milieu particolarmente presente nell’area torinese, ossia il grande collezionismo d’arte in relazione al mondo imprenditoriale. Tra le personalità più in vista, vale la pena ricordare alcuni esempi, dalle storie differenti ma che si inseriscono a pieno titolo in questa tradizione di cultori d’arte torinesi nel corso del Novecento: Riccardo Gualino, la famiglia Agnelli e Marco Rivetti. L’intreccio tra arte e impresa, dunque, andrebbe studiato e indagato attentamente non solo per i risvolti legati alla ricerca di canali d’investimento della business community, ma per la vocazione al bello e alla cultura tout court di un certo mondo imprenditoriale torinese, e sicuramente, in questo contesto, la vicenda di Francesco Federico si rivela un modello da approfondire e analizzare. In Cerruti l’intersezione tra l’amore per la bellezza, la ricerca della perfezione nei particolari, l’intransigenza e la rigorosità applicate al mondo del lavoro costituiscono una chiave di lettura per valorizzare un profilo biografico fuori dal comune, difficilmente classificabile, e per comprendere la sua significativa Weltanschauung.
Una visione filantropica dell’arte
L’interesse per il collezionismo di Francesco Federico Cerruti non è fine a se stesso ma si intreccia con la sua vicenda imprenditoriale. Il ragioniere diviene un promotore culturale in particolari occasioni, non solo per il prestito di opere a mostre locali, nazionali e internazionali ma anche per iniziative riguardanti il settore dei libri antichi e moderni, sostenendo la realizzazione di tre esposizioni di legature librarie. Nell’ottobre 1994 la Camera di Commercio in collaborazione con il Centro Studi Piemontesi organizza una mostra di legature in raccolte private piemontesi cui Cerruti partecipa esponendo «un esemplare in marocchino ad intarsi doubleé su Dante Alighieri, Vita nova (Parigi, 1907), splendidamente legato dal grande legatore francese Georges Cretté» (n. 75, p. 349); nell’ottobre 2005, presso Villa della Regina, il professor Malaguzzi organizza un’esposizione di esemplari preziosi con l’allestimento di Luciano Fagnola. Sono presenti 12 esemplari del ragioniere. Nel 2007, sempre presso Villa della Regina, si inaugura la mostra «De libris», a cura della Camera di Commercio e del Centro Studi Piemontesi, che ospita À la recherche du temps perdu di Marcel Proust, nell’edizione N.R.F. 1919-1927, con la preziosa legatura di Paul Bonet e otto lettere autografe dell’autore (sch. p. 308). In occasione dell’esposizione dell’ottobre 1994 gli organizzatori promuovono un concorso di legatura, rivolto alle botteghe piemontesi, per valorizzare una prestigiosa tradizione artigianale dal ricco passato. Probabilmente, alla luce di questa iniziativa, Francesco Federico sente l’esigenza di rilanciare il settore e di creare una scuola per legatori che, tuttavia, resta un progetto irrealizzato.
Oltre alla passione per il bello e alle capacità visionarie del capitano d’industria, esiste un terzo elemento, quello del «dono», che lo collega a quella tipologia di imprenditori del Novecento impegnata anche sul fronte della filantropia. Merita, infatti, rammentare il suo impegno in attività di beneficenza, sempre nel suo stile rigoroso e appartato, lontano dai riflettori.
L’idea stessa di concepire una fondazione, come lascito della sua collezione di capolavori destinato al pubblico, testimonia il suo spirito altruista. La villa di Rivoli, realizzata a metà degli anni sessanta, luogo prediletto e appartato, in cui dedicarsi alla contemplazione della bellezza e aperto due volte all’anno a una ristretta cerchia di amici per la visita al suo patrimonio d’arte in essa ospitato, rappresenta non solo un’eredità per l’intera comunità, ma anche la realizzazione di un ideale di arte e cultura. Egli ha una visione olistica della vita, in cui il suo percorso di imprenditore e di collezionista è legato da un filo rosso caratterizzato dall’efficienza, dalla precisione, dalla ricerca della perfezione e della bellezza, tutti elementi che si rintracciano nelle sue produzioni industriali e nella scelta delle opere e degli oggetti di arte decorativa. Pur partendo da basi di autodidatta e grazie a letture, studi e frequentazioni di mostre d’arte e gallerie, come la Galatea di Mario Tazzoli, Cerruti raggiunge una sensibilità e una raffinatezza tale che i suoi interlocutori sono i critici e gli storici d’arte più prestigiosi del tempo, tra i quali Federico Zeri e Maurizio Fagiolo dell’Arco. La sua rete di conoscenze comprende mondi apparentemente distanti e incapaci di dialogare, ma per lui sono stati una fonte di energia che ha alimentato la sua esistenza unica ed eccezionale. Dopo una lunga malattia, il ragioniere muore a Torino il 15 luglio 2015.
Estratto dalla biografia di Francesco Federico Cerruti scritta da Cristina Accornero per il catalogo della Collezione.