Zenobia

Emilio Greco

1954
Bronzo
32 x 22 x 17 cm
Anno di acquisizione ante 1983


Inv. 0812
N. Catalogo A756


[...] l’immaginario femminile chiamato in causa da Greco sollecita la critica nella ricerca di rimandi all’antichità classica, rilevando il contrasto fra l’arcaismo delle fisionomie (talvolta memori delle sintesi «etrusche» di Marino Marini) e la morbidezza delle membra. 

 

Esponente di spicco della scultura di figura italiana a cavallo fra la Seconda guerra mondiale e l’immediato dopoguerra, Emilio Greco si afferma nel corso degli anni cinquanta, raccogliendo un ampio consenso di critica a partire dal sostegno convinto di Carlo Ludovico Ragghianti e Fortunato Bellonzi. Nel corso di quel decennio, in particolare, Greco matura una peculiare marca stilistica che punta a una moderata astrazione dei modelli con garbata disarticolazione anatomica, senza però dimenticare la lezione coeva della scultura di Marino Marini e di Giacomo Manzù. Non a caso, infatti, la critica riconoscerà spesso in lui debiti dalla scultura medievale, sebbene Bellonzi, nella monografia del 1962, azzardi anche una familiarità con la lezione tardo manierista e barocca per via di certi atteggiamenti sensuali assunti dai numerosi nudi femminili che costellano la sua carriera1. Come afferma Carlo Munari nella piccola monografia del 1958, ancora memore dell’annosa polemica che aveva investito pochi anni prima il grande Monumento a Pinocchio realizzato da Greco fra 1953 e 1956 per il comune di Pescia, la sua ricerca «testimonia le difficoltà che la giovane scultura italiana dovette in questo dopoguerra superare per collocarsi legittimamente nella contemporaneità»2

Dall’«ellenismo malinconico» individuato da Ragghianti presentando la mostra alla «Strozzina» nel 1953, alla «sibillinità» di cui parla Munari, al possibile «tranello letterario» in cui il fruitore potrebbe cadere a causa della «forza insidiosa della sua grazia così suggestiva»3, l’immaginario femminile chiamato in causa da Greco sollecita la critica nella ricerca di rimandi all’antichità classica, rilevando il contrasto fra l’arcaismo delle fisionomie (talvolta memori delle sintesi «etrusche» di Marino Marini) e la morbidezza delle membra. In particolare, poi, va rilevato l’interesse dell’artista per le pose serpentinate, per le torsioni improvvise che avvolgono la figura creando un moto di linee e una multifocalità di punti di vista riscontrabili nelle grandi sculture e nei piccoli bronzi, nelle figure in piedi in posa o in cammino, e in quelle comodamente adagiate su un giaciglio, come nel caso della Zenobia di Collezione Cerruti. È proprio questo modo di costruire l’immagine, con una torsione che ne muta la percezione a ogni punto di vista svelando profili di primo acchito inaspettati, a dare secondo Bellonzi il senso di una «fiaba decorativa e paesistica»4 ben rappresentata dal Monumento a Pinocchio ma riscontrabile anche nella Grande Bagnante n. 1 con cui l’artista riceve il primo premio per la scultura alla XXVIII Biennale d’Arte di Venezia. In quell’occasione, in catalogo, rispondendo forse implicitamente ai detrattori dell’artista, Giorgio Castelfranco affermava che Greco «non è un costruttore deformante, ma definitore di sottili modulazioni di vita e quindi in primo luogo di luci sulle forme»5. Alcune pose, come quella del nudino Cerruti, troveranno infatti numerosi riscontri nell’opera grafica, dove quel carattere appiattente delle fisionomie da parte dello scultore raggiunge un compimento espressivo. In ultima analisi, confermando un’inclinazione al classicismo della propria scultura, come afferma Munari nel 1958 «Greco è l’uomo che ancora indugia a meditare sulla cadenza che fanno le colonne nello spazio luminoso dell’Isola, sull’albero che si fa corpo umano, e il corpo che diviene colonna nel volgere di lontane poetiche metamorfosi»6

Luca Pietro Nicoletti 

 

1 Bellonzi 1962. 

2 Munari 1958, p. 8. 

3 Bellonzi 1962, p. 17. 

4 Ibid., p. 15. 

5 G. Castelfranco, Emilio Greco, in Venezia 1956, p. 149. 

6 Munari 1958, p. 18.