Vendita della primogenitura
Gioacchino Assereto
1645-1650 c.
Olio su tela
110 x 147 cm
Anno di acquisizione 2007
Inv. 0065
N. Catalogo A56
Provenienza
Bibliografia
La tela raffigura un episodio della Storia di Isacco tratto dal libro della Genesi (25, 29-34) preliminare all’inganno ordito da Giacobbe con l’aiuto della madre Rebecca ai danni del fratello gemello Esaù e dell’anziano padre Isacco.
Il dipinto è stato ricondotto senza esitazioni a Gioacchino Assereto sin dalla comparsa sul mercato antiquario nel novembre 1928, insieme all’Isacco che benedice Giacobbe, suo pendant ora di ubicazione ignota, in occasione della vendita della raccolta del commendatore Ernesto Bertollo presso la Galleria Vitelli di Genova1. Tiziana Zennaro2 ha ricostruito i diversi passaggi collezionistici, tutti genovesi, dell’opera che in seguito alla vendita Vitelli approda, stando a un’annotazione di Roberto Longhi, nella Collezione Queirolo dove verosimilmente rimane fino al 29 maggio 2007, quando viene battuta all’asta da Cambi3, entrando così in Collezione Cerruti.
La tela raffigura un episodio della Storia di Isacco tratto dal libro della Genesi (25, 29-34) preliminare all’inganno ordito da Giacobbe con l’aiuto della madre Rebecca ai danni del fratello gemello Esaù e dell’anziano padre Isacco. Prima di approfittare della cecità di Isacco per ottenere la sua benedizione al posto del fratello, Giacobbe sottrae a Esaù il diritto della primogenitura, acquisendone i relativi privilegi, in cambio di un piatto di lenticchie. Secondo quanto narrato nella Bibbia, Esaù è ritratto nel momento esatto in cui, estenuato dalla fame, rinuncia alla primogenitura afferrando una pagnotta e levando la mano sinistra quasi in segno di benedizione mentre il fratello gli porge la scodella con i legumi. Sulla destra Rebecca assiste alla scena poggiando sulla spalla del figlio prediletto la mano, in evidente segno di incoraggiamento. Il racconto sacro è impreziosito da Assereto mediante l’inserimento di alcuni brani naturalistici, come il paiolo di rame sulla destra e il cane, a sua volta affamato, che si sporge verso il tavolo in cerca di cibo.
Il dipinto venne pubblicato per la prima volta da Giuseppe Delogu (1929)4 l’anno successivo alla vendita Bertollo, insieme al suo pendant, con una proposta di datazione alla piena maturità del pittore per via degli stringenti rapporti della Rebecca con la santa Monica del Minneapolis Institute of Art (inv. 60.35), tali da far ipotizzare una derivazione dalla medesima modella. Sempre Delogu5 rese noto uno studio, forse un frammento di una più vasta composizione, con una Testa di vecchia, già in Collezione Suida a Vienna e ora di ubicazione ignota, il cui volto segnato dalle rughe presenta notevoli affinità con quello della Rebecca dell’opera Cerruti.
Recentemente Alessandro Morandotti6 ha riconosciuto nella Testa d’uomo con cappello di pelliccia, in Collezione Borromeo all’Isola Bella almeno dal 1690, uno studio per il Giacobbe qui schedato. Eseguita a olio su carta e successivamente trasferita su tela, la testa era tradizionalmente attribuita a Jacob Jordaens e a Peter Paul Rubens, in virtù dell’intenso naturalismo e della libertà esecutiva; caratteristiche che si ritrovano anche nella Vendita della primogenitura. L’attribuzione ad Assereto e la datazione proposta da Delogu rimangono invariate negli studi successivi7.
Il soggetto conobbe una grande diffusione nella pittura genovese del Seicento e venne replicato più volte dallo stesso Assereto, da Giovanni Andrea de Ferrari e da Bernardo Strozzi. Nel complesso Tiziana Zennaro8 ha individuato tre esemplari autografi, tra i quali figura la nostra opera. La versione Cerruti è strettamente legata, dal punto di vista dello stile, a quella conservata presso Palazzo Bianco a Genova (inv. P.B. 1372), di minori dimensioni e con leggere varianti compositive e iconografiche; mentre un’ulteriore redazione del tema, che condivide con la tela Cerruti la presenza del cane e la descrizione delle suppellettili, è da collocare nella prima metà del quinto decennio9. La fortuna dell’opera qui schedata è inoltre attestata dall’esistenza di almeno tre repliche, tutte eseguite con minime varianti rispetto all’originale10.
Francesca Romana Gaja
1 Galleria Vitelli, Genova, Catalogo della vendita all’asta della raccolta Comm. Ernesto Bertollo, 12-17 novembre 1928 (lot. 168).
2 Zennaro 2011, vol. I, pp. 435, 436.
3 Cambi, Genova, Asta di antiquariato. Mobili, ceramiche, argenti, tappeti, sculture, arazzi, orologi, gioielli dal XVI al XIX secolo, 29 maggio - 1o giugno 2007 (lot. 1139, p. 66).
4 Delogu 1929a, pp. 218 fig. 3, 220.
5 Delogu 1929b, p. 267, fig. 3.
6 A. Morandotti, in Morandotti, Natale 2011, pp. 312-314.
7 G. V. Castelnovi, La pittura nella prima metà del Seicento dall’Ansaldo a Orazio de Ferrari, in La pittura a Genova e in Liguria 1970-1971, vol. II, p. 156; G. V. Castelnovi, La pittura nella prima metà del Seicento dall’Ansaldo a Orazio de Ferrari, in La pittura a Genova e in Liguria 1987, vol. II, p. 133; Zennaro 2011, vol. I, pp. 435, 436.
8 Zennaro 2011, vol. II, p. 839.
9 Ibid., vol. I, p. 387.
10 Ibid., vol. I, p. 436.
