Velocità astratta

Giacomo Balla

1913
Olio su tela
76,7 x 108 cm
106,7 x 138 x 5,5 cm
Anno di acquisizione 2005


N. Catalogo A64
Inv. 0072


Provenienza

Esposizioni

Bibliografia

«Non si tratta più di traiettorie che sintetizzano un percorso, né di simultaneità di punti di vista, […] ma di una nuova formulazione plastica dello spazio dinamico».

(Giorgio de Marchis, 1977)

 

Durante il 1913 Giacomo Balla intensifica la sua ricerca attorno alla rappresentazione del movimento: al dinamismo cinetico dei passi in successione di una bambina che corre sul balcone e alle traiettorie aeree delle rondini, si aggiunge il tema delle «velocità». Nelle opere di questo nuovo ciclo pittorico che comprende più di una ventina di tele, oltre a innumerevoli schizzi e studi, Balla si concentra sull’automobile, simbolo della nuova bellezza e dell’idolatria della modernità, professata dai futuristi come metafora visiva del progresso tecnologico. Come sempre Balla inizia dall’osservazione dal vero, documentata nei taccuini di quel periodo da continui disegni dedicati alle automobili e al movimento meccanico. È lo stesso Balla a spiegare la nascita e lo sviluppo di questo tema, quando ricorda il momento in cui «liberatosi dal fardello dell’esperienza», inizia «in mezzo ad un camerone vuoto e bianchissimo […] a tracciar sopra fogli di carta le linee delle auto in corsa, oggettive prima, sintetiche in seguito (linea sintetica di velocità) basi fondamentali e formidabili delle personalissime formepensiero: creazioni sue inconfutabili»1.

Se infatti nelle prime opere dedicate al dinamismo delle automobili in corsa è ancora possibile riconoscere traccia degli elementi descrittivi e formali che identificano la sagoma dell’autovettura, il conducente e il paesaggio circostante, in quelle successive ogni riferimento figurativo tende ad astrarsi in «successioni dinamiche, velocità astratta, equivalenti plastici di luminosità in corsa»2. Un processo che mira nelle sue finalità a distruggere l’immobilità di ogni cosa, travolta nel caos dell’azione dinamica universale. «Non si tratta più dunque di traiettorie che sintetizzano un percorso, né di simultaneità di punti di vista, […] ma di una nuova formulazione plastica dello spazio dinamico»3. Le componenti essenziali diventano quindi luce e movimento, che nella loro azione combinata arrivano a smaterializzare completamente i corpi, così come proclamato dal «Manifesto tecnico della pittura futurista» del 1910.

Il dipinto rappresenta un momento importante della ricerca di Balla, dedicata al dinamismo di corpi meccanici e alle modificazioni percettive e sensoriali che il movimento comporta nella visione del fenomeno fisico. Già nel titolo, l’opera enuncia infatti quei concetti di astrazione e velocità a cui Balla si dedica con costanza durante tutto il biennio 1913-1914, arrivando a formulare un sistema di diagrammi simbolici che astraggono la realtà oggettiva. Il colore è quasi assente, tutta la tensione dinamica è orchestrata da forti contrasti monocromi e luci metalliche. Il soggetto, l’auto lanciata in corsa, è ormai quasi del tutto irriconoscibile, in un gioco di linee svettanti e curve che ne frammentano e ne moltiplicano le forme tramutate in puri segni grafici. Il ritmo di accelerazione è cadenzato dalla progressione delle grandi curve che si propagano per tutta la lunghezza del quadro e i piccoli vortici che traducono il movimento delle ruote. Anche lo spazio ne risulta modificato, integrandosi completamente al moto di accelerazione dinamica come parte di esso.

L’opera, prima di essere acquisita da Francesco Federico Cerruti, per intermediazione di Claudia Gian Ferrari, fece parte della collezione del politico democristiano, più volte ministro, Pietro Campilli (1891-1974), introdotto a casa Balla alla fine degli anni cinquanta, grazie alla figura di Laura Maria Drudi Gambillo, grande esperta del Futurismo e coautrice, assieme a Teresa Fiori, degli Archivi del Futurismo, uno dei più importanti contributi allo studio sistematico del movimento d’avanguardia.

[Zelda De Lillo]

 

 

1 Balla 1984, p. 304.

2 Ibid., p. 290.

3 De Marchis 1977, p. 33.