Raisins, pipe et verre (Natura morta con pipa e uva)
Uva, pipa e bicchiere (Natura morta con pipa e uva)
Georges Braque
1933
Olio su tela
22 x 33 cm
Anno di acquisizione ante 1983
Inv. 0079
N. Catalogo A71
Provenienza
Esposizioni
Bibliografia
[...] i pochi oggetti in primo piano, il bicchiere, i frutti, la pipa, il coltello, che compaiono anche in diverse prove dell’anno precedente, sono raccolti nel centro della composizione, isolati nello spazio, dove sagome rigonfie e schiacciate li incorporano e li raccordano.
Dopo l’esordio cubista nel segno del sodalizio creativo con Pablo Picasso, cui seguono l’interruzione della Prima guerra mondiale e la piena ripresa dell’attività pittorica dal 1917, alla fine degli anni venti Georges Braque getta le premesse di un’evoluzione stilistica. Raisins, pipe et verre si inserisce in una serie di nature morte di impianto semplice dipinte tra il 1931 e il 1934, di piccolo e di grande formato, che accolgono alcune recenti innovazioni formali: innanzi tutto le sagome curve, le forme organiche ambigue di carattere surreale adottate nella serie delle Bagnanti, 1928-1929 c., di cui l’artista distrugge diversi esemplari e altri ne modifica in epoca più tarda; quindi, gli esili segni incisi sulle opere in gesso dipinte di nero realizzate nel 1931 con una tecnica di sua invenzione; infine, la linea grafica libera tendente all’arabesco che impartisce il ritmo alla composizione nelle sedici acqueforti con scene mitologiche della Teogonia di Esiodo, commissionate da Ambroise Vollard (1932-1935). In Raisins, pipe et verre, le linee bianche che disegnano il contorno del bicchiere si sovrappongono alla forma astratta campita di colore nero in un gioco di trasparenze ricorrente nei quadri del periodo, dove la materia appare senza peso. Nel catalogo dell’opera dipinta di Braque1 si contano nel 1933 altre sei nature morte analoghe: i pochi oggetti in primo piano, il bicchiere, i frutti, la pipa, il coltello, che compaiono anche in diverse prove dell’anno precedente, sono raccolti nel centro della composizione, isolati nello spazio, dove sagome rigonfie e schiacciate li incorporano e li raccordano. Simili forme fluide, presenti anche su tele più grandi e complesse come Grande nature morte brune, 1932 (Parigi, Centre Pompidou), si insinuano le une fra le altre come in un intarsio, creando un insieme organico. Quanto agli oggetti ritratti in Raisins, pipe et verre, Fritz Laufer ha suggerito in riferimento alla pipa bianca un omaggio a Jean- Baptiste-Siméon Chardin2. Sul piano d’appoggio appena distinguibile dal fondo, gli elementi si stagliano contro un colore neutro indefinito, un rosagrigio luminoso che va ad aggiungersi alla palette piuttosto austera dell’epoca, nella quale si declinano nero, bianco, grigio, marrone, rosso castagno e verde, stesi in uno strato pittorico sottile. Nel biennio 1932-1933, alle nature morte si alternano le più rare marine realizzate in Normandia, dove Braque soggiorna ogni estate a partire dal 1929. Il 1933, inoltre, è segnato dalla prima grande retrospettiva dell’artista alla Kunsthalle di Basilea, accompagnata da un catalogo con un testo di Carl Einstein; la rivista «Cahiers d’art» dedica al pittore il numero monografico 1-2 dello stesso anno, con una raccolta di testi inediti e altri già pubblicati. Da questo momento, per il resto del decennio e oltre, si apre per Braque una nuova fase in cui la decorazione emerge a saturare lo spazio, la tavolozza assume brillantezza, le superfici affollate di oggetti e segni ornamentali accentuano il dinamismo e la malleabilità metamorfica degli elementi suggerita negli anni precedenti.
Raisins, pipe et verre appartenne alla collezione milanese di Emilio e Maria Jesi, che la acquistarono presso la Galleria Il Milione di Milano e nel 1961 la prestarono alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino per la mostra «La pittura moderna straniera nelle collezioni private italiane» (con altre opere di Vuillard, Bonnard, Utrillo, Picasso, Poliakoff, Bissière, Vieira da Silva, Singier): il quadro è riconoscibile, montato su una cornice diversa da quella attuale, nelle vedute dell’allestimento conservate presso l’Archivio Fotografico della Fondazione Torino Musei. Nella biblioteca di Cerruti si conserva il catalogo dell’esposizione, accompagnato da un biglietto con dedica di Pier Giovanni Castagnoli (direttore del museo civico dal 1998 al 2008). Nel 1971, il dipinto si trovava ancora in collezione privata a Milano3.
Valeria D’Urso
1 Mangin 1959-1982, vol. III, 1928-1935, foglio n. 100, ill.
2 Laufer 1955, p. 24.
3 Valsecchi, Carrà 1971, p. 106.
