Tremblement de terre
Terremoto
Max Ernst
1927-1928
Olio su tela
60 x 37 cm
Anno di acquisizione 1976-1983
Inv. 0113
N. Catalogo A105
Provenienza
Esposizioni
Bibliografia
Il Tremblement de terre della Collezione Cerruti mostra un cielo sordo, di colore grigio, animato dalla candida presenza di un tovagliolo di pizzo, forato nel mezzo.
«I dati biografici su Max Ernst sono discontinui. Chi tenti di interpretare tali dati e gli avvenimenti della sua vita, s’imbatte in una rete sottile di verità e di menzogne [...]»1. Così lo storico dell’arte Ulrich Bischoff dava avvio alla sua monografia sul tedesco, rilevando quanto fosse usuale, per Ernst, tendere trappole nelle quali lo studioso finisce per incappare e insabbiarsi. A cominciare dalle sue Note per una biografia, memorie apparse per la prima volta in francese nel 1959, che riportano il significativo sottotitolo, ispirato all’autobiografia di Johann Wolfgang von Goethe, Tessuto di verità, tessuto di bugie2. È in queste pagine che l’artista descrive il padre Philippe, «per professione: insegnante in una scuola di bambini sordomuti; per vocazione: pittore»3. Philippe Ernst «si cimentava a dipingere, con molta buona volontà e un poco di ingenuità nature morte o paesaggi e a copiare inoltre, servendosi di riproduzioni, i soggetti religiosi dei grandi maestri»4. Fu lui a trasmettere al figlio quell’interesse per le immagini della natura (sch. p. 786) che rimase inalterato negli anni e trovò particolare fioritura nel 1925, anno di nascita del celebre procedimento tecnico-estetico denominato frottage.
Una piovosa sera d’agosto, in una pensione della costa bretone, Ernst rimase rapito dalla visione di un pavimento in legno consunto, le cui scanalature erano state accentuate da ripetuti lavaggi. Secondo un processo di automatismo caro ai surrealisti e alla psicanalisi freudiana, decise di trattenere il contenuto simbolico di quella visione, strofinando con la matita nera alcuni fogli di carta appoggiati casualmente sul parquet. Comparvero così, davanti ai suoi occhi, teste umane, animali, battaglie, mari, terremoti5...
Se il racconto ha l’andamento e il sapore dei miti d’iniziazione, il procedimento a cui l’artista faceva appello non era altro che la materializzazione dell’invito di Leonardo da Vinci ad allenare l’ingegno, osservando le macchie e le crepe sui muri, la cenere nel focolare o i contorni frastagliati delle nubi, per ritrovarvi immagini di montagne, fiumi, alberi e valli6.
Nel 1926 Ernst raccolse 34 eliografie, tratte da frottage realizzati l’anno precedente, nel portfolio intitolato Histoire naturelle e pubblicato da Jeanne Bucher. Tra queste figura Les Tremblement de terre, in cui un’irregolare forma romboidale, solcata da una fitta rete di graffi, sembra irradiare linee di forza simili a quelle di un campo magnetico (fig. 1). La tavola dell’Histoire naturelle è la prima opera di Ernst a fare esplicito riferimento al terremoto, tema che ricorre frequente, nella seconda metà degli anni venti, in un ciclo di tele, prevalentemente di formato verticale, dedicate al genere pittorico della marina7. Non diversamente dall’esemplare Cerruti, questi dipinti si mostrano divisi in due metà dalla linea dell’orizzonte. Nella parte superiore è visibile una forma circolare, riferimento al disco solare; in quella inferiore, increspature ottenute con il frottage e con lo strofinamento di oggetti sull’olio ancora fresco (preludio alle future invenzioni del grattage e della decalcomania) simboleggiano movimenti ondosi e tellurici.
Il Tremblement de terre della Collezione Cerruti mostra un cielo sordo, di colore grigio, animato dalla candida presenza di un tovagliolo di pizzo, forato nel mezzo. L’immagine del tovagliolo sembra un collage dipinto e acquista tridimensionalità grazie all’inserimento dell’ombra nera e alla giocosità di decoro e forature. Al centro, il globo scuro, cinto da aloni concentrici che ricordano tracce di bicchieri su una tovaglia bianca e, al contempo, si caricano di scomode connotazioni erotiche, è un elemento minaccioso che pare dialogare con la metà inferiore del quadro. Qui due bande colorate, ottenute probabilmente con una tecnica simile a quella del frottage, si stendono sulla placida superficie di un mare oleoso e denso come petrolio, chiuso, lungo il bordo inferiore, da un tracciato sismografico.
In questo ciclo di tele, quel che più sorprende è il continuo slittamento tra differenti piani dimensionali, reso ancor più complesso dall’ambiguo rapporto tra mimetismo e astrazione, raffinati riferimenti culturali e volgari fonti popolari. Se il malinconico globo solare sembrerebbe riecheggiare i paesaggi cosmici di Caspar David Friedrich8, il tovagliolo di pizzo andrebbe riconnesso all’avversione di Ernst per il lavoro manuale e artigianale, identificato spesso con l’immagine della casalinga che lavora ai ferri o all’uncinetto, come nel caso del collage Frau Wirtin an der Lahn... (Signora ostessa al filatoio..., 1920), conservato presso la Staatsgalerie di Stoccarda9.
La serie di dipinti dedicati al terremoto, inoltre, parrebbe anticipare le considerazioni che il filosofo Georges Bataille raccolse nello scritto L’ano solare del 1927. Nella filosofia del francese, i movimenti astronomici e quelli tettonici sono strettamente imparentati con l’atto sessuale10. Il sole nero, al contempo, si fa immagine dell’«occhio pineale», organo di delirio ed eccesso, e metafora di un punto cieco della razionalità occidentale, ben rappresentato dalla celebre sequenza della lama che affonda nel bulbo oculare di Un chien andalou, cortometraggio del 1929 diretto da Luis Buñuel.
Segnalata come eseguita nel 1925 nel catalogo generale dell’artista, la tela è stata spesso assegnata a un periodo di produzione posteriore, prossimo al 1927-1928. Tale datazione compariva anche nel piccolo catalogo della mostra del 1969 alla Galleria Galatea di Torino in cui fu esposta. Ancora proprietà della galleria nel 1976, il dipinto fu probabilmente acquistato da Francesco Federico Cerruti poco tempo dopo11.
È da segnalare, infine, l’acquisizione nel 1967, da parte della Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino, di due collage di Ernst, presentati proprio in quell’anno alla Galatea. Tale acquisto, testimonianza dell’attenzione riservata da Cerruti per il contesto museale ed espositivo locale, assume particolare significato nel tentativo di definire il gusto del collezionista e l’interesse da lui riservato all’avanguardia dada e surrealista12.
Fabio Cafagna
1 Bischoff 1992, p. 7.
2 J. Drost, «Biographical Notes»: How Max Ernst Plays with a Literary Genre, in Spies 2005, pp. 17-31.
3 M. Ernst, Note per una biografia, in Rivoli 1996b, p. 203.
4 Ibid.
5 A. Jouffroy, Max Ernst, in Milano 1996-1997, pp. 38-39.
6 Sull’argomento si veda D. Krystof, Der «Leonardo des Surrealismus», in Berlino-Monaco di Baviera 1999, pp. 250-260.
7 Si vedano, tra gli altri, i nn. 885, 971, 976-977, 982-984 in Spies, Metken, Leppien 1975-2007, vol. III.
8 Sull’argomento si veda K. von Maur, Max Ernst and Romanticism: Between the Lyrical Celebration of Nature and the Aesthetics of Horror, in Londra-Stoccarda-Düsseldorf 1991, pp. 341-350.
9 Bischoff 1992, pp. 11, 12.
10 «[...] i movimenti erotici del suolo non sono fecondi come quelli delle acque ma sono molto più rapidi. La terra si scuote talvolta con frenesia e tutto crolla alla sua superficie» (Bataille 1998, p. 16).
11 Secondo la testimonianza orale di Annalisa Ferrari, il dipinto fu acquistato prima del 1983. Un preciso termine ante quem è rappresentato dall’Inventario dei mobili, dipinti, sculture, argenti, tappeti, maioliche, porcellane e oggetti d’arte del 30-06-1993, in cui l’opera è menzionata nella zona del vestibolo e della scala (Archivio Collezione Cerruti).
12 Si tratta di Un peu malade le cheval... (1920, inv. P/1721) e di Bozza di manifesto (1920, inv. P/1720). Sui due collage si veda G. Auneddu, in Maggio Serra, Passoni 1993, p. 128.
Fig. 1. M. Ernst, Le Tremblement de terre, foglio V della serie Histoire naturelle, 1926 (da frottage del 1925).

