Tavolino a meccanismo
Jean-François Oeben (attribuito)
metà del XVIII secolo c.
ambito parigino
Struttura in quercia, bordature e decori in ottone
72 x 70 x 46 cm
Anno di acquisizione 1992
N. Catalogo A254
Inv. 0274
Provenienza
Bibliografia
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L’arredo rientra nella categoria delle tables à écrire mécaniques o à transformation o à la Bourgogne, tavolini ai quali un ingegnoso meccanismo nascosto permette di assumere assetti diversi. Essi conobbero grande successo grazie all’essere plurifunzionali e facili da spostare quanto eleganti.
La struttura è in quercia. Il piano, di sagoma mossa e bordato in ottone a vassoio, è suddiviso orizzontalmente in due sezioni lungo una linea sinuosa che non compromette la continuità della composizione intarsiata. È occupato per intero dalla raffigurazione in legni policromi di un fantastico palazzo, al quale si ascende con una doppia rampa di scalone centrata da una fontana. In capo allo scalone un trofeo bellico, ai lati due fughe di contorte pareti a graticcio. Cespi di fiori occhieggiano qua e là. L’onirica scenografia si richiama al gusto cinese.
La cintura è fittamente intarsiata a fiori policromi entro cornicetta rococò e presenta su ciascun lato un trofeo. Quello frontale è una composizione di strumenti delle arti e delle scienze: tavolozza, pennello, flauto, compasso, squadre, sfera armillare. Al fianco sinistro faretra, face, arco e scudo. Sul lato posteriore lira, tamburello, violoncello e maschera. Sul fianco destro cornamusa, colomba, fucile e freccia. Bronzi dorati a forma di foglie e giunchi assecondano la cintura e i profili delle gambe fino a terra, dove si congiungono ai calzari.
L’arredo rientra nella categoria delle tables à écrire mécaniques o à transformation o à la Bourgogne, tavolini ai quali un ingegnoso meccanismo nascosto permette di assumere assetti diversi. Essi conobbero grande successo grazie all’essere plurifunzionali e facili da spostare quanto eleganti. Furono una specialità di Jean-François Oeben ma non solo, e se ne trovano diversi esemplari nei musei1. Nell’ambito di queste tables à transformation, spiccano quelle con cassettiera a sollevamento meccanico come la nostra. Se ne osserva un esempio al Louvre, attribuito a Oeben, con marqueterie semplice ma elegante (inv. OA 7625); uno al Musée Nissim de Camondo, sempre a Parigi, di Roger Lacroix Vandercruse (inv. CAM 345); due nella Collezione Rothschild di Waddesdon Manor, uno dei quali di Jean-Pierre Latz e l’altro senza estampille ma di particolare ricercatezza, con raffigurazioni tratte da De Machy2; un altro ancora al Metropolitan Museum di New York, contrassegnato dal marchio «R. Dubois» e appartenuto alla collezione Jack e Belle Linsky3: quest’ultimo, a decorazione floreale alla Cina, presenta alla cintura e alle gambe bronzi identici a quelli del mobile Cerruti.
Nel tavolino una pressione sulla sezione posteriore del piano determina il sollevamento automatico di un corpo a sei cassettini e pianetto estraibile dotato di un piccolo leggio mobile.
La parete posteriore e i fianchi della cassettiera sono decorati con tralci fioriti e recano nella rotondità degli spigoli posteriori una lira tra due fiaccole incrociate. La fronte è intarsiata a rametti fioriti disposti in continuo sui sei cassettini. Quando il tavolino è completamente aperto, si trasforma in un minuscolo bureau-à gradin.
Il meccanismo nascosto che determina il sollevamento della cassettiera è un sistema a due staffe metalliche incrociate a balestra, divaricate a «V» verso l’alto e terminanti in rotelle di bronzo. Il blocco e lo sblocco avvengono mediante pulsanti che azionano l’ingresso di due denti in asole metalliche fissate alla cintura in corrispondenza dei fianchi. L’ala anteriore del piano si ribalta in avanti e scopre, sotto un pianetto rimovibile, un vano che ospita due scatole foderate in moiré rosa e uno spazio vuoto centrale.
In origine questo spazio, oggi maldestramente foderato da tavolette lignee di recente fattura, era occupato da un minuscolo armadio sollevabile a molle, come nel tavolino di Versailles di cui si parlerà più avanti. Lo smontaggio delle tavolette rivela nel pavimento gli scassi delle originarie molle a lame metalliche.
Nel catalogo dell’asta in cui fu acquistato il tavolino, Sotheby’s, 25-26 giugno 1979 a Montecarlo4, con la quale furono dispersi gli importanti arredi francesi del miliardario saudita Akram Ojjeh (1918-1991), si indica come provenienza del piccolo arredo la collezione del conte Von Harrach di Vienna. Non si fa un riferimento di paternità, ma è ricordata l’attribuzione a Oeben da parte dello storico André Boutemy5. In anni più recenti, non concorda con l’attribuzione Rose-Marie Stratmann-Döhler, studiosa del grande maestro parigino6.
L’estampille scoperta nell’interno durante lo smontaggio per il restauro (Laboratorio Gherardo Franchino, Torino) non è sufficientemente certa per essere considerata decisiva. Un tavolino simile era stato illustrato nel 1956, oltre vent’anni prima dell’asta di Monte Carlo, da Charles Packer nel suo volume sui maestri ebanisti francesi7. Ne era dichiarata l’appartenenza alla collezione di Barbara Hutton (1912-1979), la miliardaria americana protagonista dell’alta vita sociale di New York, nota per la vita eccentrica e i sette matrimoni. È escluso tuttavia, come rivela la documentazione fotografica per quanto imperfetta, che la table della Hutton sia la stessa di Carrach-Ojeeh-Cerruti, oggetto di queste note. Essa è invece da identificarsi probabilmente con il tavolino esistente a Versailles, nella camera da letto della marchesa di Pompadour, dove giunse nel 1986 per donazione dalla duchessa di Windsor, Wallis Simpson (inv. V 4956, dimensioni 72,4 x 71,5 x 48,9 cm)8.
Attribuito dal museo a ebanista anonimo e collocato alla metà del XVIII secolo, l’arredo costituisce il termine di riferimento per quello di Cerruti, dal momento che, conservatosi nella sua integrità, permette di riportare idealmente quest’ultimo a «prima» dei rimaneggiamenti avvenuti in epoca indefinibile. In particolare il tavolino di Versailles conserva, a coperchio del vano che si scopre ribaltando l’aletta anteriore del piano, una superfice continua a bella marqueterie floreale: essa è articolata in tre sezioni, due alette laterali ribaltabili e un piccolo casier centrale a sollevamento meccanico mediante la spinta di due lamelle metalliche. Le stesse di cui rimangono nel tavolino Cerruti le tracce illustrate sopra, mentre le alette ribaltabili vi sono sparite.
Altro punto su cui focalizzare l’attenzione è la composizione floreale intarsiata sulla fronte del corpo ascendente, che si rende visibile allorché esso è sollevato: mentre nell’esemplare di Versailles i serti fluiscono senza discontinuità attraverso le sei sezioni (corrispondenti a sei tiretti di cui due a segreto), nell’arredo di Cerruti sono percettibili discontinuità verticali, dovute a una manipolazione che coinvolse anche i foderi dei tiretti stessi, ora non più originali. Dunque si può credere che la table pubblicata nel 1956 da Packer sia la stessa ora a Versailles. Quando sia passata da Barbara Hutton ai duchi di Windsor non è dato di conoscere: una data certa è che la donazione fu fatta nel 1973 dalla Simpson in memoria del duca Edoardo VIII, scomparso l’anno precedente. Il tavolino fu donato con riserva d’uso, per questo entrò fisicamente a Versailles solo nel maggio 1986, poco dopo la morte della duchessa.
La storia della squisita e discussa table à écrire, che sia o no opera di Oeben, va completata con un successivo capitolo. L’architettura e l’apparato decorativo furono replicati nel tardo XIX secolo in alcuni altri che hanno struttura e marqueterie molto simili, mentre il piano è un elemento unico, sollevabile a scoprire un unico spazio vuoto. Essendo privi di corpi movimentati da meccanismi, non sono annoverabili fra le tables mécaniques. Le copie ottocentesche, che, giova ripetere, sono tutte a coperchio continuo e senza meccanismi interni, sono apparse nelle seguenti aste: Franco Semenzato, Venezia, 23-24 maggio 1987, lot. 182, con attribuzione a Oeben non argomentata, 72 x 68 x 47 cm. Sotheby’s, Londra, 20 settembre 2011, lot. 103, come «after a model by Oeben in Louis XV style, 19th century», 72,5 x 69 x 52 cm, praticamente uguali al tavolino Cerruti in altezza e larghezza, profondità maggiore di 6 cm. Christie’s, Londra, 10 settembre 2013, lot. 101 «signed to the lockplates E.O.SCHMIDT/WIEN», 72,5 x 69 x 52 cm. Va tenuto presente che la Collezione Harrach, alla quale appartenne l’originale, era a Vienna. Christie’s, Londra, 18 settembre 2014, lot. 63, 72,5 x 67 x 48,2 cm. Sotheby’s, Londra, 2 maggio 2017, lot. 206, con firma «J.F. Oeben JME» giudicata apocrifa, 72 x 70 x 49 cm. Sul mercato antiquario londinese è stato presente un tavolino dello stesso tipo, dichiarato «maniera di Oeben» e datato al 1880 circa. Dimensioni 72 x 70 x 49 cm.
La documentazione fotografica disponibile sui tavolini appena elencati non permette di accertare se si tratti di arredi diversi oppure se uno o più di essi siano passati da un’asta all’altra. Il confronto dei piani rivela diversità non indifferenti, per esempio nella sagoma e nei particolari dell’intarsio. Due delle immagini presentano un orientamento orizzontale invertito rispetto alle altre. Piccole varianti nelle dimensioni dichiarate sono da considerarsi entro certi limiti normali, ma non quando la differenza è di diversi centimetri. Va infine segnalato che il tavolino Cerruti è stato esaminato nell’ottobre 2019 da Peter Fuhring, che ha espresso decise perplessità.
Jean-François Oeben (maître nel 1761), tedesco d’origine (era nato ad Heinsberg in Renania, poco lontano da Aquisgrana), nel 1749 risulta da qualche anno a Parigi ma non è noto se la sua formazione sia stata tedesca o francese, forse presso Jean- Pierre Latz. L’unione matrimoniale con una Vandercruse gli dà accesso agli ambienti dell’alta ebanisteria. Lavora per qualche anno nella bottega del figlio di Boulle, Charles-Joseph, al Louvre, poi ottiene un atelier ai Gobelins. Nel 1754 è Ebanista del Re, nel 1756 gli viene assegnato un nuovo laboratorio all’Arsenale. Acquista un grande prestigio e la sua fama supera i confini, raggiungendo Londra, Vienna e lo zar di Russia. È fornitore di Madame de Pompadour e della maggiore aristocrazia. Pone mano nel 1760 a quello che passa per il mobile più famoso del mondo, la scrivania a cilindro per lo studio di Luigi XV a Versailles, scrivania che sarà terminata (e firmata) nove anni dopo da Riesener.
La sua produzione è grandiosa. Oeben vi dispiega le doti che lo storico dell’ebanisteria francese Pierre Kjellberg riassume in due definizioni: «un marqueteur incomparable» e «un mécanicien ingénieux». Con la prima allude alla straordinaria ideazione e alla virtuosistica esecuzione degli apparati decorativi intarsiati. Con la seconda alla perizia nell’inventare e forgiare i meccanismi dei suoi sorprendenti mobili polifunzionali, à transformation, piccoli capolavori di ingegno tecnologico. Oeben, che aveva l’autorizzazione a fucinare in proprio le parti metalliche di questi arredi nel laboratorio all’Arsenale, ne dà il saggio più complesso in un seggiolone multi-uso per il duca di Borgogna, nipote di Luigi XV affetto da invalidità: da stipo a cinque cassetti si trasforma in biblioteca, pregadio, secrétaire e tavolino da letto. È conservato nel Musée du Louvre (inv. OA 10001). Per questo i mobili à mécanisme sono chiamati anche à la Bourgogne. Non va dimenticato che Oeben fu anche un maestro: i grandi Riesener e Leleu furono suoi allievi, in conflitto per la successione allorché prematuramente egli morì a 42 anni.
[Roberto Antonetto]
1 I più noti sono quello per Madame de Pompadour del Metropolitan (inv. 1982.60.61), a doppia estampille «Oeben» e «Roger Vandercruse Lacroix», e quelli del Getty Museum di Malibu, del Gulbenkian di Lisbona, del Residenzmuseum di Monaco di Baviera, del Victoria and Albert di Londra. Altri sono alla Huntington Art Gallery di San Marino in California, alla National Gallery of Art di Washington, al Rijksmuseum di Amsterdam, al Bowes Museum di Durham.
2 De Bellaigue 1974, vol. I, pp. 394-407, sch. 82, 83.
3 Inv.1982.60.60. The Jack and Belle Linsky Collection 1984, p. 213. I René Dubois registrati dalla trattatistica sull’ebanisteria francese sono due. Il primo è figlio del famoso Jacques: nasce nel 1737, ottiene la maîtrise nel 1755, muore nel 1798 o 1799. Di lui si hanno ampie notizie e si conoscono, fra le altre, opere che testimoniano il suo gusto per le cineserie e i mobili laccati. Risulta tuttavia che egli abbia usato sempre l’estampille del padre, non una propria. Il secondo René Dubois risulta maître nel 1757, dapprima con bottega in rue de la Verrerie, poi mercante di giocattoli in rue Saint-Honoré: una figura di cui poco si conosce.
4 Sotheby’s, Monte Carlo, Magnifique ensemble de meubles et objets d’art français. Collection Monsieur Akram Ojjeh, 25-26 giugno, pp. 258-260.
5 Boutemy 1964, p. 220, figg. 37-39. Boutemy non nascose peraltro alcune riserve stilistiche. Il tavolino è riprodotto anche in De Plas 1975, p. 32 (se ne indica l’appartenenza alla collezione Daniel Wildenstein)
6 Stratmann-Döhler 2002, pp. 83-113.
7 Packer 1956, fig. 61.
8 Si ringrazia il Museo di Versailles per la gentile collaborazione fotografica.