Studio di nudo (Nudo biondo)
Gigi Chessa
1925
Olio su tavola
74 x 56,5 cm
Anno di acquisizione 2001
Inv. 0096
N. Catalogo A88
Provenienza
Esposizioni
Bibliografia
«Rorido torso femminile [...] assai lontano dalla velleità di costrizioni monastiche».
Augusto Carutti
Artista dai molteplici interessi, che includono la scenografia, l’arredamento e la grafica pubblicitaria (Lionello Venturi, nel presentarlo al Musée Rath di Ginevra nel 1927 lo definirà come «un artista versatile», o ancora «ragazzo spregiudicato e modernissimo»1) Gigi Chessa vive, a partire dal primo dopoguerra, un’intensa stagione formativa, divisa tra l’esperienza torinese, sotto l’influenza di Felice Casorati, e quella maturata ad Anticoli Corrado, con Felice Carena. Verso la fine degli anni venti si aprirà per lui la significativa esperienza dei «Sei pittori di Torino», che non precluderà comunque la sua attività nel campo delle arti applicate.
Concepito come una sorta di esercitazione sul motivo del nudo (lo stesso titolo non sembra farne mistero), Studio di nudo rientra in quella sua produzione tipica della metà degli anni venti, mostrando alcuni caratteri peculiari della sua educazione di pittore: se da un lato l’influenza di Casorati è ben ravvisabile nell’intonazione ambientale della composizione (una «lezione» che Paolo Fossati colloca in quel «senso di esperienza diretta per momenti precisi e definiti, con i loro umori e sapori»2), è soprattutto l’insegnamento di Carena a influenzare la scelta cromatica, priva di eccessi coloristici, nonché i caratteri più propriamente tecnici dell’impasto pittorico e della sua stesura.
L’opera, con buone probabilità, risulta tra quelle esposte in due importanti rassegne del periodo (una torinese, l’altra veneziana)3, trovando riscontro tanto nei cataloghi quanto nelle testimonianze coeve.
Presentato all’«Esposizione di bozzetti e disegni», organizzata a Torino dalla Società Antonio Fontanesi nella primavera del 1925, Studio di nudo riscuoteva un certo successo nella critica cittadina: se Ernesto Ferrettini, sulle pagine de «La Stampa», scriveva di «un luminoso nudo femminile», Augusto Carutti, dalle colonne della «Gazzetta del Popolo» ironizzava invece circa la natura esplicita del soggetto, definendolo come un «rorido torso femminile [...] assai lontano dalla velleità di costrizioni monastiche». A distanza di poco più di un mese, l’appuntamento annuale di Ca’ Pesaro (allestito per la prima volta presso il Lido veneziano) si offriva come l’occasione per riconfermare la sua presenza in laguna, già attestata nel 1923. Nonostante le iniziali reticenze (il pittore era impegnato, proprio nel 1925, a ristrutturare il Teatro di Torino, nonché a realizzare le scenografie e i costumi per L’Italiana in Algeri di Gioachino Rossini), Chessa accettava l’invito di Nino Barbantini a presentare un’ampia rassegna di opere, sotto forma di mostra personale4.
Nell’occasione Studio di nudo faceva la sua comparsa insieme ad altri 13 dipinti, che esploravano i generi più tipici della sua pittura, dalla natura morta al paesaggio anticolano, ma soprattutto si poneva in relazione con un più compiuto Nudo di spalle, di proprietà del compositore Alfredo Casella. La presenza del dipinto alla mostra del Lido, oltre che dall’indicazione di catalogo, è suffragata da un elenco opere redatto dallo stesso artista, completo di misure, conservato presso l’archivio dell’istituzione veneziana5.
Nel 1965 la grande mostra «Sei di Torino», inaugurata presso la Galleria Civica d’Arte Moderna del capoluogo piemontese, si proponeva come prima retrospettiva nazionale dedicata al gruppo: una raccolta non limitata allo stretto giro di anni dei «Sei» e che non escludeva i prodromi del gruppo, nelle stesse accezioni individuali. Forse una troppo generosa selezione delle opere, condotta preliminarmente dagli organizzatori dell’esposizione, imponeva nella fase di allestimento una riduzione del numero di tele, portando all’esclusione dello stesso Studio di nudo - inizialmente previsto - sia dal catalogo che dal percorso di mostra (un’etichetta apposta sul verso dell’opera offre comunque testimonianza del suo passaggio presso l’istituzione torinese, indicandola nella sua variante di titolo Nudo biondo)6.
Alessandro Botta
1 Il testo di Venturi (ripubblicato in Bovero 1965, pp. 53-54) era apparso sul catalogo della mostra «Exposition d’artistes italiens contemporains», inaugurata al Musée Rath di Ginevra nel febbraio del 1927.
2 P. Fossati, Il ruolo di Gigi Chessa pittore, in Torino 1987-1988, p. 21.
3 L’identificazione è sostenuta in Bovero 1965, p. 21, e in P. Mantovani, Per un catalogo generale della pittura di Gigi Chessa, in Torino 1987-1988, p. 252, n. 74.
4 Il 26 maggio 1925 Chessa scrive al direttore Barbantini: «Accetto con molto piacere l’invito che Lei mi fa’ [sic] di esporre al Lido, ma essendo io stato quasi completamente assorbito in un importante lavoro, la mia produzione in questi ultimi tempi è stata assai limitata e mi è quindi impossibile fare una vera e propria mostra personale»; il 3 luglio, ravveduto, risponderà: «Ho deciso di inviare un numero maggiore di dipinti seguendo il suo consiglio» (Venezia, Archivio della Fondazione Bevilacqua La Masa, b. 1925).
5 Seppur differenti, perché comprensive della cornice originale, ora sostituita, risultano comunque compatibili con le misure attuali; si veda Venezia, Archivio della Fondazione Bevilacqua La Masa, b. 1925.
6 Circa il ricevimento (e la successiva restituzione) dell’opera da parte della Galleria Civica d’Arte Moderna, si veda la documentazione relativa alla mostra «I Sei di Torino», SMO 652, 653, Archivio dei Musei Civici, Torino.
