Solo

Mimmo Paladino

1992
Olio e tela su pergamena e legno
60 x 50 cm
Anno di acquisizione 2000-2005


Inv. 0156
N. Catalogo A149


Provenienza

Esposizioni

Nell’opera di Paladino, come nella poesia di Baudelaire, «foreste di simboli» si sviluppano sotto «gli sguardi familiari» dell’artista, in un equilibrio senza contrasti tra natura e storia, organicità e memoria, romano e gotico, avanguardia e tradizione, a legittimare tale sguardo familiare e immaginario dell’artista che intreccia citazioni dall’affresco medioevale di Giotto alla purezza scultorea di Arturo Martini. 

 

Nel piccolo dipinto Solo di Mimmo Paladino una figura bianca frontale, con gli occhi chiusi, sembra meditare in un equilibrio simmetrico. Poggia un piede sulla punta, forse sopra un ramoscello, mentre ai polsi è legato uno stendardo rosso con al centro l’immagine di un agnello bianco. Uomo e agnello lasciano trasparire l’interno dei loro corpi, popolati da organi e vene. Sul petto dell’uomo la scritta «A TE» pare suggerire, nell’insieme, una rappresentazione contemporanea della Passione. Il pittore Paladino ha adottato la natura del poeta Charles Baudelaire come metafora della pittura. Generalmente essa rimanda al principio della crescita e dello sviluppo inarrestabile, al rigoglio di forme organiche innestate tra loro senza motivazione esplicita1

La cultura occidentale nella sua evoluzione, dal Medioevo a oggi, ne ha riconosciuto una doppia identità: natura naturans e natura naturata, principio generativo di ogni genere, regolato da norme imperscrutabili, e prodotto di trasformazione a opera dell’essere umano, capace di definizione e memoria. L’immagine figurativa di Paladino nell’opera Solo, in Collezione Cerruti, tende a confermare la definizione del linguaggio come natura naturata delimitata nella costruzione dei suoi confini. Si tratta di una rappresentazione che tende a riportare la foresta alla dimensione del giardino. Paladino della Transavanguardia adotta il nomadismo culturale e l’eclettismo stilistico: scultura, affresco, mosaico, collage e architettura. Segno di apertura sulla Storia e sulle sue tragedie. Col primo integra il concetto occidentale della natura naturata con quello orientale del paradiso. Col secondo costruisce un giardino di figure e di immagini, strutturato secondo il senso della continuità e del rigoglio tipico del giardino. 

L’artista diventa il terreno fertile produttore di un linguaggio legato alla natura del suolo, del suo genius loci, l’ispirazione specifica promanante dal territorio antropologico abitato. Da qui un’iconografia gotica che intreccia figure umane, animali e piante, tipica dell’arte e della cultura longobarda, di cui sono rimaste molte tracce nel territorio natale dell’artista, Benevento, in Campania. 

Nell’opera di Paladino, come nella poesia di Baudelaire, «foreste di simboli» si sviluppano sotto «gli sguardi familiari» dell’artista, in un equilibrio senza contrasti tra natura e storia, organicità e memoria, romano e gotico, avanguardia e tradizione, a legittimare tale sguardo familiare e immaginario dell’artista che intreccia citazioni dall’affresco medioevale di Giotto alla purezza scultorea di Arturo Martini. 

Una purezza di intenti che pareggia creatività artistica e crescita del giardino. Il passaggio dal giardino al paradiso è dettato dalla costruzione di uno spazio pittorico «beatificato» da un soffio temporale che blocca i tempi dell’arte nella unicità dell’immagine, sintesi miracolosa nella quiete dell’istante che evoca Arshile Gorky e insieme la pulizia del Novecento. Istantanea e felicemente statica è l’immagine di Paladino. 

La corrispondenza tra Baudelaire e Paladino nasce proprio dall’essere entrambi artisti moderni, abitatori di una città portatrice di spleen e separatezza. 

Pittura e poesia, talvolta anche scultura e disegno, sono i linguaggi che affrontano la negatività della modernità adottandone anche alcuni effetti stilistici legati al passaggio dalla modernità alla post-modernità: contaminazione, riconversione, riciclaggio, destrutturazione e memoria contestuale degli insiemi, tipica quest’ultima dell’era telematica. 

Proprio la telematica manuale di Paladino produce memoria stilistica e capacità simultanea di adozione di figurazione e astrazione, geometria e ornamentazione. Tutto condensato nell’unità formale dell’opera, come in un giardino visto «da lontano» pieno di corrispondenze tra i profumi, i colori e i suoni, costruito con la mano, nella dimensione dunque del «vicino». Il giardino-paradiso di Paladino vuole poi essere contemplato nella dimensione del «lontano», da una distanza in cui è percepibile l’equilibrio formale dell’insieme, le differenze dei «lunghi echi» delle immagini e delle «foreste di simboli». 

I simboli sono insiti nella crescita dell’immagine, nella creatività dell’arte che non distingue passato, presente o futuro e nemmeno albero, essere umano o animale. Se il giardino rappresenta una coltivazione specializzata, il paradiso invece indica il luogo dell’equilibrio del tutto, superamento del particolare, passaggio dall’identità specialistica della città a quella facilmente indeterminata del paradiso, basato sull’apparizione. 

Achille Bonito Oliva 

 

Originariamente Solo era parte di un trittico composto da dipinti protetti da pannelli di legno, in forma di piccoli tabernacoli. Presentato in occasione della personale del 1995-1996 al Museo Diego Aragona Pignatelli Cortes di Napoli, pervenne in Collezione Cerruti, successivamente a quella data, dalla sede romana della galleria di Gian Enzo Sperone. Cerruti fu probabilmente affascinato dalla solitudine della figura dipinta, dalla sacralità della composizione e dal fondale dorato, contrappunto visivo evidente alla sua raccolta di fondi oro tre e quattrocenteschi [N.d.R.]. 

 

1 Il presente contributo trae ispirazione da A. Bonito Oliva, Transavanguardia: davanti c’è il bel canto, dietro la tortura, in Rivoli 2002-2003, pp. 31-33 [N.d.R.].