Sera carnevalesca
Fausto Agnelli
1920 c.
Olio su tavola
25 x 60 cm
Anno di acquisizione ante 1983
Inv. 0830
N. Catalogo C3
I contemporanei rilevavano il motivo decadente della festa sfavillante e della maschera, ambigua messinscena che «tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto; / in una smorfia il singhiozzo e ’l dolor» per citare l’opera Pagliacci di Leoncavallo (1892) spesso richiamata tra gli interessi di Agnelli.
L’eccentrica immagine di dandy, dai gusti raffinati e di vistosa eleganza, col fiore all’occhiello e il fazzoletto al taschino, ha reso Fausto Agnelli una celebrità primonovecentesca della città di Lugano, non senza far trapelare alcuni tratti importanti della sua figura di pittore. Poco è stato ricostruito della sua formazione, oltre al triennio del corso di scultura presso l’Accademia di Brera dal 1897 al 1899, e non si conoscono gli estremi di un soggiorno a Venezia e di un viaggio in Spagna nei primi anni del Novecento. La fisionomia stilistica con cui Agnelli si presenta agli esordi nel 1911 indica nell’arte internazionale apprezzata alle Biennali veneziane le fonti del suo simbolismo liberty, venato di suggestioni macabre e letterarie: apprezza soprattutto la grafica belga di James Ensor e Felicien Rops, e sull’esempio delle celebri illustrazioni di Alberto Martini trae numerosi soggetti dai racconti dell’orrore di Edgar Allan Poe.
Caratteristica della pittura di Agnelli è anche la concentrazione su pochi motivi, variati nel corso di decenni con minimi scarti stilistici. Il tema del carnevale diventa presto un suo precipuo marchio commerciale, Agnelli si guadagna il titolo di «pittore delle maschere» e la stampa locale non manca di fare ironia su tale, a tratti stanca, ripetizione (fig. 1). Ai cosiddetti «poemetti carnevaleschi», non a caso definiti come un genere poetico, appartiene anche la Sera carnevalesca della Collezione Cerruti, un’opera di fatto inedita. In due mostre a cavallo del secondo e del terzo decennio, nel periodo in cui per ragioni stilistiche si può ipotizzare la datazione della tavola, Agnelli espone molte opere con titoli analoghi (Poemetto carnevalesco, Notte carnevalesca, Sera di carnevale, Carnevale, Maschere), difficilmente identificabili. I contemporanei rilevavano il motivo decadente della festa sfavillante e della maschera, ambigua messinscena che «tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto; / in una smorfia il singhiozzo e ’l dolor» per citare l’opera Pagliacci di Leoncavallo (1892) spesso richiamata tra gli interessi di Agnelli. La curiosa solidità delle paste, che la critica paragona alla ceramica, si rifà all’esempio del pittore spagnolo Hermenegildo Anglada Camarasa, in Italia modello fortunato di colorismo e insistenza sugli effetti allucinati della luce artificiale.
Il corteo danzante di Pierrot, Pantaloni, Colombine e Arlecchini avanza in un luogo riconoscibile di Lugano, ovvero piazza della Riforma, con le arcate dei portici addobbate di lanterne. Mariangela Agliati Ruggia ha sottolineato l’interesse di Agnelli per le stampe settecentesche e le vedute della città natia e del lago, in particolare quelle di Rocco Torricelli, il pittore luganese che con il fratello Antonio Maria affrescò tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta del XVIII secolo Palazzo Grosso a Riva presso Chieri (Torino) e il salone centrale del Castello di Rivoli.
Filippo Bosco
Fig. 1. Anonimo, Constatazione artistica («Ecco un valente pittore che tutto l’anno vede il Canton Ticino popolato soltanto di maschere»), in «Il Ragno», 30 aprile 1921.

