Senza titolo

Afro Libio Basadella, detto Afro

1952
Tecnica mista su tela
45 x 65 cm
Anno di acquisizione 2001


Inv. 0066
N. Catalogo A58


Provenienza

Esposizioni

Bibliografia

«Una forma pittorica può avere anche valore di apparizione? L’organismo rigorosamente formale di una pittura può contenere la leggerezza, il respiro di una evocazione, improvviso soprassalto della memoria? È questo per me il problema, in questo consiste la irrequietezza continua che mi stimola a dipingere».

 

Il tenore e la forte coesione interna dell’opera di Afro, già largamente riconosciuti almeno fin dalla maturità del pittore, sono radicati intorno ad alcuni suoi tratti ricorrenti: il colorismo tonale d’impronta veneta, derivante dalla sua formazione e radice culturale, la lenta e sapiente processualità della mano, anche questa debitrice della tradizione artigiana familiare (il padre Leo era stato un decoratore) e una latente qualità memoriale divenuta cifra autentica della sua pittura che approderà a una personale astrazione lirica, sempre ancorata alla risonanza figurale. Il richiamo al valore della memoria nella sua ricerca è esplicitato anche nello scritto del 1954, dal titolo Indicazioni sulla mia pittura, che è quasi una dichiarazione di poetica: «Una forma pittorica può avere anche valore di apparizione? L’organismo rigorosamente formale di una pittura può contenere la leggerezza, il respiro di una evocazione, improvviso soprassalto della memoria? È questo per me il problema, in questo consiste la irrequietezza continua che mi stimola a dipingere»1

Il percorso del pittore friulano, compiuti gli studi prima a Venezia e poi a Firenze, prende avvio all’inizio degli anni trenta a Roma dove, attraverso la conoscenza di Scipione, Mario Mafai e Corrado Cagli, si accosta alla maniera espressiva della Scuola Romana. Dalla lezione del «primordio» che raccoglie da Cagli procederà poi con uno scarto, e fino almeno al 1947, alle esperienze successive che guardano alla pittura di matrice picassiana e cubista, quando si fa vicino a Renato Birolli ed Ennio Morlotti intanto conosciuti durante i soggiorni milanesi. 

Con la fine degli anni quaranta, mentre nel 1948 non aderisce al «Fronte Nuovo delle Arti» né partecipa alla Biennale di Venezia, Afro prende le distanze dalle polemiche tra i pittori astrattisti e realisti in Italia e volge lo sguardo a nuove esperienze, progettando un viaggio negli Stati Uniti. Dal primo soggiorno di otto mesi a New York compiuto nel 1950, stabilisce un longevo e importante sodalizio con la gallerista Catherine Viviano, conosciuta a Roma già l’anno prima, e diviene il primo della generazione dei giovani artisti italiani del secondo dopoguerra a ricevere un pieno apprezzamento critico e di mercato da una platea internazionale, mantenendo poi una posizione salda di scambi con l’estero. 

Per lunghi anni assistente di Pierre Matisse, Catherine Viviano condusse un’attività fortemente orientata alla pittura europea, inaugurando il suo spazio newyorchese nel 1950 con la mostra tutta italiana «5 Italian Painters»2, cui seguì, nella primavera, la prima personale di Afro a New York. 

Al periodo dei primi soggiorni americani risale anche il dipinto Senza titolo, 1952, transitato attraverso la galleria di Catherine Viviano nella collezione di Dorothy G. Koss e acquistato da Francesco Federico Cerruti nel 2001 presso la Galleria d’Arte Nuova Gissi Torino. Nell’anno 1952, mentre Viviano dispone la sua seconda mostra personale, si spostava il fulcro dei riferimenti per Afro che, superata anche la meditazione sul post-cubismo, è incline ora a richiami parasurrealisti. 

Al centro della tela in Collezione Cerruti, una forma astratta ma ibridata da caratteri organici e biomorfici emerge per forza di luminosità dal fondo, coordinata da una trama di segni pittorici e filamenti grafici che insieme strutturano e dilatano la fisiologia dell’immagine. Nel contrappunto del segno, primario e reiterato, è leggibile il riferimento maggiore all’automatismo grafico surrealista, per Afro desunto soprattutto dall’ammirazione per l’armeno Arshile Gorky, la cui influenza per il pittore agisce fin dal primo soggiorno americano. Celebre è il debito che gli riconosce nella partecipata presentazione che scrive in occasione della mostra personale di Gorky, alla Galleria dell’Obelisco di Roma, nel 1957: 

«Quando sono andato la prima volta in America, nel ’50, ho visto molti quadri di Gorky. Fu l’esperienza più importante di quel primo viaggio... quella pittura mi ha dato coraggio. Intrepido, emozionato, pieno d’amore Arshile Gorky mi ha insegnato a cercare la mia verità senza falsi pudori, senza ambizioni o remore formalistiche. Da essa ho appreso, più che da qualunque altra, a cercare soltanto dentro di me: dove le immagini sono ancora radicate alle loro origini oscure, alla loro sincerità inconsapevole»3

Fig. 1. Afro, Senza titolo ’52, 1952, tecnica mista su carta.

Al dipinto sono riferite anche due opere ad acquerello, gouache e matita che testimoniano della consuetudine di Afro all’esercizio sulla carta e della complicità che questa trattiene con l’opera pittorica (figg. 1, 2). Dalla formazione fino alla maturità, Afro ha conservato infatti un’operosità lenta e severa che saggia l’immagine, prima del suo trasferimento in pittura, anche attraverso una serie multipla di varianti su carta, come anche nei cartoni preparatori della grande pittura murale de Il giardino della speranza, commissionatagli nel 1958 per la sede dell’Unesco di Parigi. 

Laura Cantone

 

1 A. Basaldella, Indicazioni sulla mia pittura, dattiloscritto conservato nell’Archivio eredi Afro Basaldella a Roma, consultato in Caramel 1989, p. 151.

2 «5 Italian Painters», New York, Catherine Viviano Gallery, gennaio-febbraio 1950. Accanto ad Afro espongono Corrado Cagli, Renato Guttuso, Ennio Morlotti e Armando Pizzinato.

3 «Arshile Gorky», Roma, Galleria dell’Obelisco, 1957.

Fig. 2. Afro, Senza titolo ’52, 1952, tecnica mista su carta.