Sant’Andrea

Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino

1640-50 c.
olio su tela
66 x 55 cm
1
Anno di acquisizione 1983-1993 1989-1990


N. Catalogo B2
Inv. 0816


Provenienza

L’apostolo è raffigurato avanti negli anni, con barba e capigliatura fluenti, mentre fissa con lo sguardo velato da una lieve malinconia un punto indistinto al di fuori della tela. La quasi totalità della superficie è occupata dal mezzo busto del santo che, ritratto di tre quarti da un punto di vista ravvicinato, si staglia dal fondo nero. Il vegliardo regge tra le mani come senza sforzo la croce a X, suo strumento di martirio e consueto attributo iconografico. Le dimensioni ridotte e l’atmosfera di intimo raccoglimento lasciano intuire che l’opera fosse destinata alla devozione privata. 

 

 

L’opera non è nota agli studi e deve essere ascritta al periodo tardo di produzione del Guercino. Non è infatti citata dal biografo Carlo Cesare Malvasia1 e non compare nei recenti contributi monografici dedicati al pittore2. Non pare inoltre essere riconoscibile nei due Sant’Andrea menzionati nel dettagliato Libro dei conti3 che Guercino tenne fino alla morte nel 1666, con l’aiuto del fratello e collaboratore Paolo Antonio Barbieri e del nipote Benedetto Gennari. Sotto questo soggetto sono ricordate soltanto una mezza figura commissionata nel 1656 dal governatore di Cento, Pietro Mancurti da Imola, individuata nel dipinto di maggiori dimensioni già in Collezione Koelliker a Londra4, caratterizzato da una materia più vaporosa e morbida, meno ricca di contrasti cromatici rispetto alla versione Cerruti, e un’altra mezza figura pagata nel 1643 dal priore dei carmelitani della Basilica di San Martino a Bologna. Il prezzo di 50 ducatoni, forse un poco elevato se rapportato alle dimensioni, non permette di identificarvi con certezza la nostra opera.

Scarne sono anche le notizie riguardanti le vicende collezionistiche. L’anno esatto di ingresso nella raccolta Cerruti non è noto; tuttavia l’acquisto da parte del ragioniere deve essere sicuramente posteriore al 1983, quando il Sant’Andrea è segnalato in una anonima collezione privata milanese5. L’opera doveva, però, circolare sul mercato antiquario almeno dal 1967, come si apprende da una perizia di Carlo Volpe a un ignoto destinatario, in cui lo studioso bolognese riconosce «senza esitazioni la miglior qualità degli anni tardi di Giovan Francesco Barbieri da Cento»6. 

L’apostolo è raffigurato avanti negli anni, con barba e capigliatura fluenti, mentre fissa con lo sguardo velato da una lieve malinconia un punto indistinto al di fuori della tela. La quasi totalità della superficie è occupata dal mezzo busto del santo che, ritratto di tre quarti da un punto di vista ravvicinato, si staglia dal fondo nero. Il vegliardo regge tra le mani come senza sforzo la croce a X, suo strumento di martirio e consueto attributo iconografico. Le dimensioni ridotte e l’atmosfera di intimo raccoglimento lasciano intuire che l’opera fosse destinata alla devozione privata. 

La materia lavorata, la pennellata morbida e ancora leggermente chiaroscurata, che descrive con tocchi di luce le rughe della fronte e l’incavo degli occhi, collocano l’opera all’interno del quinto decennio del Seicento, periodo coincidente con il trasferimento, nel 1642, a Bologna dalla natia Cento insieme alla sua fiorente bottega, in cui il pittore è intensamente attivo sia nella produzione di pale d’altare che di opere da cavalletto. Fisionomia ricorrente già nel corso degli anni quaranta, il Sant’Andrea Cerruti si inserisce tra l’Ecce Homo della Galleria Corsini di Roma (1644; inv. 91), il San Paolo del Louvre (1644; inv. 80), con i quali condivide sia le dimensioni che lo sfondo scuro, e alcune figure di santi realizzate nella seconda metà del decennio. In particolare, la nostra opera risulta essere affine al San Paolo primo eremita nutrito da un corvo, recentemente reso noto da David Stone7 con una datazione tra il 1644 e il 1649, al San Girolamo in Collezione Harris a New York (1648) e all’ovale con il San Giuseppe della Pinacoteca di Bologna (1648-1649; inv. 454), in cui è impiegato lo stesso violetto del manto del Sant’Andrea, cifra stilistica del Guercino tardo. In questo senso, la scelta delle cromie tenui e preziose sembra anticipare i caratteri propri del linguaggio del sesto decennio. 

[Francesca Romana Gaja]

1 Malvasia 1678, vol. II; Malvasia1841, vol. II.

2 Bologna 1968; Salerno1988; Bologna - Cento1991; Stone1991; Turner2017.

Libro dei conti 1997, pp. 115, 116, 172.

4 Turner 2017, p. 725.

5 Fototeca Zeri, scheda 57039.

6 Fototeca Zeri, scheda PI_0548/6/35. Si ringrazia il prof. Benati, la dott.ssa Culatti e la Fondazione Zeri di Bologna per la disponibilità. 

7 Stone 2017, pp. 152-157.