Sant’Ambrogio e sant’Elisabetta

Michele di Matteo da Bologna

1430-1436 c.
Tempera e oro su tavola
26 x 8,4 cm
Anno di acquisizione 1984-1993


Inv. 0015
N. Catalogo A15


Provenienza

Bibliografia

Benché la carriera artistica di Michele di Matteo risulti assai lunga e articolata1, è possibile scandirla in alcune tappe fondamentali. Dopo una prima formazione compiuta nel cantiere di San Petronio a Bologna sui modi di Giovanni da Modena, il pittore intraprese un viaggio a Venezia, di datazione dibattuta tra terzo e quarto decennio, e soggiornò a Siena nel 1447, dedicandosi alla decorazione dell’abside del battistero con Storie della Passione2. Successivamente rientrò in patria, dove recuperò le radici del suo linguaggio bolognese e approfondì i contatti con i pittori locali, in particolare con Jacopo di Paolo. 

Fig. 1. Sant’Ambrogio, particolare.

Al periodo veneziano vanno ricondotte le due tavolette con la raffigurazione di un santo vescovo, riconoscibile in sant’Ambrogio, perché regge il flagello a tre code, simbolo della trinità e della lotta contro gli ariani, e di una santa in età avanzata vista di profilo e con bastone, identificabile con sant’Elisabetta, madre del Battista (figg. 1, 2). Esse provengono dai contrafforti del polittico firmato per la cappella di Sant’Elena nell’omonima chiesa degli Olivetani a Venezia, e oggi ricoverato alle Gallerie dell’Accademia, dove giunse dopo le soppressioni napoleoniche nel 1812 (fig. 3). Dell’antica conformazione del monumentale complesso, che conserva la sua cornice originale seppure molto rifatta nell’Ottocento, abbiamo testimonianza grazie alla minuziosa descrizione e al disegno in inchiostro a penna contenuti in un manoscritto settecentesco conservato alla Biblioteca Marciana3, da cui ricaviamo che l’opera era rinserrata da due robusti contrafforti, ora mancanti, e che in cima alle cuspidi del coronamento, inframmezzate da pinnacoli, spiccavano figurette a mezzo busto realizzate a intaglio ligneo, verosimilmente di profeti (fig. 4).

Fig. 2. Sant’Elisabetta, particolare.

I contrafforti erano scompartiti in cinque facce e presentavano sette ordini sovrapposti di figure, uno corrispondente alla predella con Storie del ritrovamento della vera Croce, tre al registro principale, con la Vergine col Bambino in trono e quattro Sante, tra cui la titolare Elena, uno con santi a mezzo busto in continuità con la cornice di separazione tra i due registri, e due al registro superiore, con la Crocifissione e i quattro Evangelisti. L’ignoto compilatore del manoscritto riferisce che nei due pilieri vi erano 48 figure, di cui ci sfugge al momento la precisa ripartizione. 

Prima del 1812 i santini furono acquistati da Edward Solly, che nel 1821 li vendette al Königliches Museum di Berlino, dove ne pervennero 38 suddivisi in vari lotti, di cui 32 a figura intera e 6 a mezzo busto. Questi ultimi furono venduti nel 1887, mentre dei rimanenti, 10 si conservano tuttora in museo, e 22 vennero alienati tra 1921 e 1923. Tra questi riconosciamo il Sant’Ambrogio e la Santa Elisabetta che, a seguito di vari passaggi antiquariali, approdarono nella collezione parigina di Alain Cortreille, dove li vide Federico Zeri nel 19834. Dopo una tortuosa vicenda attributiva, Roberto Longhi assegnò i dieci santini allora rimasti a Berlino a Michele di Matteo5. Nel 1987 Boskovits ne suggerì, sulla base delle misure e dei dati di stile, l’appartenenza ai pilieri del polittico veneziano6

Fig. 3. M. di Matteo, polittico per la chiesa di Sant’Elena a Venezia. Venezia, Gallerie dell’Accademia.

L’opera fu concepita a corredo dell’altare della cappella dedicata a Sant’Elena, costruita da Alessandro Borromeo tra 1418 e 14207 e destinata a conservare le reliquie della santa titolare entro un’antica cassa lignea apribile. In un recente articolo Fabio Massaccesi8 anticipa agli anni di fondazione della cappella la datazione del polittico, tradizionalmente collocato invece intorno al 1439, data in cui diviene priore del convento il bolognese Bernardo de’ Scapi9, oppure tra 1428 e il 1436, lasso di tempo in cui il pittore risulta assente nei documenti bolognesi10. L’argomentazione di fondo dello studioso si basa sulla svolta radicale attuata dal pittore bolognese in direzione del linguaggio raffinato e sontuoso del gotico veneziano, e soprattutto sulla puntuale ripresa di soluzioni gentiliane, che suggeriscono una cronologia maggiormente a ridosso degli anni del soggiorno in laguna del fabrianese (1408-1414 c.). 

Benché la questione debba rimanere aperta in attesa di dati più sicuri, tuttavia varrà la pena riconsiderarla in relazione al contesto veneziano e ai modi e tempi di ricezione in laguna di una cultura orientata in senso internazionale. Se è vero che il complesso olivetano mostra precise riprese di motivi gentiliani, uno per tutti il gesto delicato con cui la Maddalena sorregge il vaso dell’unguento, d’altra parte la profusione decorativa e il compiacimento nel trattamento sinuoso dei pesanti panneggi rimandano, a mio avviso, a esperienze più tarde, di gotico fiorito, sperimentate nel milieu lagunare, i cui esponenti principali furono Jacobello del Fiore, Zanino di Pietro e Giambono, solo negli anni a cavallo tra terzo e quarto decennio. A questa più tarda congiuntura sembrano collegarsi anche altre opere del pittore bolognese probabilmente realizzate durante o poco dopo il soggiorno veneziano, come il Sogno della Vergine di Pesaro11, la Madonna col Bambino della Walters Art Gallery di Baltimora, le Madonne dell’umiltà delle Collezioni Chiaromonte Bordonaro di Palermo e già Gozzadini a Bologna, o infine la Madonna dell’umiltà già a Bologna nelle Collezioni Balboni e Rossi12. Si consideri, inoltre, che nei Santini dei pilieri traspare, accanto all’eleganza dei santi maggiori, una caratterizzazione più rude ed energica, memore dell’espressività di Jacopo di Paolo, che sembra marcare soprattutto le opere del periodo maturo di Michele e che sarebbe forse troppo deterministico collegare al suo matrimonio con la figlia di Jacopo, Lucia, nel 1425. Tali sviluppi, tuttavia, non sono ancora visibili in uno dei capisaldi cronologici del suo percorso, ossia il Sant’Antonio da Padova della cappella di Santa Brigida in San Petronio, ai piedi del quale Marcello Oretti leggeva la data 143013, e dove l’impasto dell’incarnato, denso e rossiccio, rimanda al substrato tecnico bolognese, e non sembra indulgere all’epidermica sensibilità chiaroscurale tipica invece dei volti veneziani. 

Dunque il Sant’Antonio costituisce un post quem e il complesso olivetano, con i santini ad esso connessi, va riferito alla committenza di Alessandro Borromeo o del nipote Galeazzo, tra 1430 e 1436, entrambi munifici benefattori della chiesa e responsabili dell’arredo della cappella destinata ad accogliere le loro sepolture. 

Cristina Guarnieri

 

Filippini, Zucchini 1968, pp. 122-126; M. Medica, in Zeri 1987, p. 710; A. Galli, cat. 22, in The Alana collection 2009-2011, vol. I, p. 125.

Milanesi 1854-1856, vol. II, p. 320.

Cose spettanti al monastero di Sant’Elena (1740), Venezia, Biblioteca Marciana, Ms. it., Cl. 7, Nr. 1676 (9037).

Boskovits 1987, pp. 137-140; A. Galli, cat. 22, in The Alana collection 2009-2011, vol. I, pp. 126-129; F. Massaccesi, in Strehlke, Brüggen Israëls 2015, pp. 465-470.

Longhi (1935-1936) 1973, pp. 107-110.

Boskovits 1987, p. 139.

Gallo 1926, p. 432.

Massaccesi 2009, pp. 171-180.

R. Longhi, Il tramonto della pittura medioevale nell’Italia del Nord (1935-36), in Longhi 1973, p. 108.

10 C. Volpe, La pittura in Emilia nella prima metà del Quattrocento (1958), in Volpe 1993, pp. 81, 82; De Marchi 1987, pp. 17, 22; Anselmi 2012, p. 39.

11 M. Medica, in Bologna 2002-2003, pp. 50, 51.

12 De Marchi 1987, pp. 17-36, figg. 3, 18, 19, 33, 35.

13 Oretti XVIII sec., c. 385.

Fig. 4. Disegno a inchiostro del polittico per la chiesa di Sant’Elena a Venezia dal manoscritto Cose spettanti al monastero di Sant’Elena (1740). Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Ms. it., Cl. 7, Nr. 1676 (9037), f. 135.