Rinaldo impedisce ad Armida di uccidersi

Gioacchino Assereto

1635-1639 c.
Olio su tela
149 x 185 cm
Anno di acquisizione 1989-1990


Inv. 0062
N. Catalogo A53


Provenienza

Esposizioni

Bibliografia

Il soggetto, tratto dal canto XX della Gerusalemme Liberata di Tasso, si discosta dagli episodi rappresentati più di frequente, che prediligevano il momento dell’incontro tra i due amanti. 

 

Il dipinto appartiene alla produzione di Gioacchino Assereto, tra i protagonisti del primo Seicento genovese. Non sono noti né il committente né la collocazione originaria. Tiziana Zennaro segnala tra le voci dell’inventario dei beni del padre carmelitano Felice Tassorello, stilato il 6 aprile 1688, una «Armida che essendo in atto di uccidersi è trattenuta da Rinaldo» di Assereto; l’assenza di misure rende però impossibile l’identificazione con la tela in oggetto1. L’opera è stata acquistata presso la Galleria Carlo Orsi di Milano tra il 1989 e il 1990, ed era esposta, almeno dal 2002, nell’ufficio del ragioniere Cerruti in via Ludovico Bellardi a Torino. La tela raffigura la maga Armida nel momento in cui, estratta una freccia acuminata dalla faretra che giace ai suoi piedi, sta per trafiggersi il petto. Sulla destra irrompe Rinaldo, mentre dal lato opposto un puttino, personificazione dell’Amore, ferma il braccio della donna. Le figure sono animate da una forte tensione e occupano dinamicamente lo spazio, spostando il baricentro della composizione verso il margine sinistro. 

Il soggetto, tratto dal canto XX della Gerusalemme Liberata di Tasso, si discosta dagli episodi rappresentati più di frequente, che prediligevano il momento dell’incontro tra i due amanti. In questo caso Assereto innova il tema, aggiungendo la figura di Amore e condensando in un’unica scena due momenti diversi: il tentativo di suicidio di Armida, provvidenzialmente sventato, e il conseguente svenimento di lei tra le braccia del suo salvatore. L’interesse iconografico per i temi tasseschi, da cui Assereto trae più di un dipinto, si diffonde a Genova attraverso le incisioni d’après i disegni di Bernardo Castello a corredo delle edizioni illustrate del poema; tuttavia, come osservato da Franco Boggero2, il soggetto qui schedato «non sembra trovare precedenti nello stesso ambiente genovese». 

Il dipinto è stato pubblicato per la prima volta con l’attribuzione a Gioacchino Assereto da Vittorio Sgarbi3, che gli riconosce, per via della qualità e dell’inusuale scelta iconografica, un posto di rilievo nella pittura genovese del Seicento. La paternità è stata accolta anche da Martha Ausserhofer4, da Camillo Manzitti5 e da Tiziana Zennaro6; quest’ultima ammira la straordinaria ricchezza cromatica del corpetto di Armida e della corazza di Rinaldo, leggendo nei preziosi cangiantismi e nei dettagli curati il segno di un rinnovato accostamento alla pittura del maestro Andrea Ansaldo. Per via della consistenza più materica delle pennellate rispetto alle prove giovanili, la studiosa propone di collocare l’opera alla metà degli anni trenta e non oltre il 16397, data in cui dovrebbe cadere il soggiorno a Roma attestato dal biografo Raffaele Soprani8. A riprova di una certa consuetudine di Assereto e dei suoi allievi con i temi tratti dalla Gerusalemme Liberata esistono altre due redazioni del soggetto, una già in Collezione Koelliker a Londra9 e un’altra entrata nel 1982 nelle raccolte della Galleria Sabauda a Torino10, entrambe ritenute da Zennaro copie derivate dalla tela Cerruti11. Infine un frammento di ubicazione ignota raffigurante Amore e il braccio destro di Armida individua l’esistenza di una terza versione12

Francesca Romana Gaja

 

1 Zennaro 2011, vol. I, p. 340.

2 F. Boggero, in Ferrara 1985a, p. 314.

3 Sgarbi 1992.

4 Ausserhofer 1997, pp. 129 fig. 5, 131, 141 nota 42.

5 Manzitti 2005, p. 44, nota 50.

6 Zennaro 2011, vol. I, pp. 340-342.

7 Ibid., vol. I, p. 341.

8 Soprani 1674, p. 170.

9 Sotheby’s, Londra, The Luigi Koelliker studiolo: old master paintings and..., 3 dicembre 2008, pp. 340, 341.

10 C. Arnaldi di Balme, in Torino 2004, p. 140, inv. 1066.

11 Zennaro 2011, vol. I, p. 341.

12 Ibid., vol. II, p. 528.