Lorsqu'on verra
Quando vedremo
Yves Tanguy
1941
Olio su tela
64 x 54 cm
Anno di acquisizione ante 1983
Inv. 0182
N. Catalogo A176
Provenienza
Esposizioni
Bibliografia
Misteriose forme organiche animano la tela e sembrano rinviare ai processi enigmatici messi in atto da Hieronymus Bosch nella gestazione delle sue opere.
Raymond Georges Yves Tanguy, pittore surrealista francese, naturalizzato americano, nacque il 5 gennaio 1900 presso il Ministère de la Marine di place de la Concorde a Parigi, dove il padre, ufficiale, aveva ricevuto alloggiamento. Entrambi i genitori erano bretoni, e quel luogo d’origine rimase per l’artista una fonte inesauribile d’ispirazione, una dimensione perduta evocata nel corso dell’intera carriera.
Al termine del servizio militare, prestato non lontano da Nancy, nell’est della Francia, Tanguy ritornò a Parigi, dove rinnovò la propria amicizia con Jacques Prévert, incontrato nell’esercito, e fece la conoscenza di Marcel Duhamel. I tre, destinati a lasciare una profonda traccia nella cultura novecentesca (Prévert divenne un famoso poeta e scrittore di teatro; Duhamel un acclamato sceneggiatore, attore e traduttore), condivisero, tra il 1923 e il 1928, un appartamento al numero 54 di rue du Château, alle spalle della gare Montparnasse. L’abitazione divenne presto un luogo d’incontro per artisti e intellettuali. I surrealisti vi erano di casa e, proprio in quel mitico rifugio, nel 1925 nacque il celebre gioco del cadavre exquis. Quella al 54 di rue du Château era, nelle parole del critico d’arte Patrick Waldberg, una barca il cui sognante equipaggio navigava ogni giorno in acque altissime, un battello in cui regnavano, in modi che non trovarono equivalenti, anticonformismo, libertà e invenzione creativa1.
Al 1923 risale l’incontro folgorante con la pittura metafisica di Giorgio de Chirico. Tanguy non soltanto si gettò da un tram in corsa per ammirare il dipinto Le Cerveau de l’enfant (1914, Stoccolma, Moderna Museet), che irraggiava con il suo linguaggio sconosciuto la vetrina della galleria di Paul Guillaume, ma decise, a seguito di quella inaspettata e violenta visione, di votarsi interamente alla pittura2.
Due anni dopo conobbe André Breton, vate dell’avanguardia surrealista. Fu un incontro pregno di significato e gravido di conseguenze. Almeno fino alla partenza per gli Stati Uniti, avvenuta nel 1939, i due continuarono a essere grandi amici e collaboratori fedeli. Grazie all’influenza di Breton, la fama del pittore valicò i confini francesi e le sue opere furono riconosciute tra gli esiti più compiuti del Surrealismo.
Nel 1927, uno stile già ampiamente maturo consentì a Tanguy di allestire la prima personale alla Galerie Surréaliste di Parigi. La prefazione al catalogo era opera di Breton, così come le note sul pittore, pubblicate l’anno seguente, in Le surréalisme et la peinture. Le metamorfiche immagini di Tanguy si collocavano, nelle parole dello scrittore,
«ai limiti dove lo spirito rifiuta qualsiasi aiuto dall’esterno e l’uomo non vuol più trarre argomento se non dalla propria esistenza, in questo campo delle forme pure a cui ci introduce qualsiasi meditazione sulla pittura, dove la palla di piuma pesa quanto quella di piombo, dove tutto può volare come sfuggire, dove le cose più contrarie s’incontrano e si scontrano senza catastrofe»3.
Breton concludeva le sue considerazioni con la poetica metafora dell’insettofoglia: «L’idea dei tre regni è del resto un controsenso assoluto. Se un ortottero si posa su un ramo, chi può dire che un po’ più tardi non sia una foglia qualunque dell’albero a volar via in sua vece?»4. Ancora una volta, il mimetismo, l’interesse per la vita sociale degli insetti e un approccio alla scienza che abbandonava il prevalente atteggiamento antropocentrico (sch. p. 786) divenivano la chiave di volta attraverso cui interpretare la produzione di molti artisti annidati nelle maglie del Surrealismo. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Tanguy fu tra i primi a salpare per gli Stati Uniti. Oltreoceano, sposo di Kay Sage, agiata pittrice americana, ex principessa di San Faustino, e sotto contratto per la Pierre Matisse Gallery, conobbe agiatezza economica e riconoscimenti di gran lunga superiori a quelli di cui aveva beneficiato nel suo Paese d’origine. La vendita di tele a collezionisti e musei, l’interesse mostrato da critici e curatori, gli stimoli provenienti dalla rutilante New York e dalla vastità dei paesaggi del continente nordamericano, crearono condizioni di lavoro estremamente favorevoli5.
Lorsqu’on verra, che risale a quella stagione di fruttuoso rinnovamento, raffigura un paesaggio con una linea d’orizzonte molto elevata e un profondo primo piano. Misteriose forme organiche animano la tela e sembrano rinviare ai processi enigmatici messi in atto da Hieronymus Bosch nella gestazione delle sue opere. L’immaginario dell’olandese, profondamente influenzato dalla simbologia rosacrociana, condivide con quello di Tanguy la sorprendente commistione di lucidità e mistero, capace di donare alla scena quel carattere peculiare di sogno nitido6. Tale ambiguità è amplificata dal titolo dell’opera, apertamente slegato dal contenuto della visione, secondo una modalità operativa messa a punto già a partire dai primi anni di attività7. Influenzata dalla luce del nuovo continente e dai suoi immensi spazi, la tavolozza cromatica si ravviva8.
Le lunghe ombre portate, consuete nella pittura metafisica dechirichiana, ancorano le forme al fondale evanescente. Nel periodo americano, i personaggi abbandonano l’aspetto biomorfico e acquistano quello di agglomerati prodotti dalla mano dell’uomo, la cui epidermide ricorda la superficie di materie plastiche. Di quegli anni, non a caso, sono i brevetti di nylon e pet (polietilene tereftalato), materiali che avrebbero letteralmente inondato la produzione industriale del secondo dopoguerra.
Nel 1942, la tela figura tra quelle presentate per la seconda personale alla Pierre Matisse Gallery di New York. Dopo alcuni passaggi di proprietà negli Stati Uniti, raggiunse il mercato europeo alla metà degli anni Settanta. Francesco Federico Cerruti la acquistò prima del 1993, anno in cui è registrata nell’inventario manoscritto della villa di Rivoli9.
Fabio Cafagna
1 Waldberg 1962, p. 52.
2 J. Pierre, Le peintre surréaliste par excellence, in Parigi-Baden Baden 1982-1983, pp. 43-44.
3 Breton 2010, pp. 63, 64.
4 Ibid., p. 64.
5 M. Sawin, 1940-1955. Les annés américaines, in Le Bihan, Mabin, Sawin 2001, pp. 132-217.
6 R. Penrose, Yves Tanguy, in Parigi-Baden Baden 1982-1983, p. 27.
7 Dall’intervista di Sweeney 1946, pp. 22, 23.
8 Ibid.
9 Un preciso termine ante quem è rappresentato dall’Inventario dei mobili, dipinti, sculture, argenti, tappeti, maioliche, porcellane e oggetti d’arte del 30-06-1993, in cui l’opera è menzionata nella zona del vestibolo e della scala (Archivio Collezione Cerruti).
