Orto presso i Cappuccini

Domenico Baccarini

1905 c.
Olio su tela
50 x 90 cm
Anno di acquisizione 1990


Inv. 0805
N. Catalogo A747


Provenienza

Esposizioni

Bibliografia

Orto presso i Cappuccini sintetizza, in ogni caso, alcuni aspetti della poetica del pittore: il naturalismo, l’attenzione al reale con quel gusto per le piccole cose quotidiane, la fusione di senso lirico e oggettività, il tutto in forte assonanza con certa poesia italiana a cavallo del secolo, in particolare di Giovanni Pascoli. 

 

Domenico Baccarini è stato tra i principali interpreti della temperie crepuscolare del primo Novecento, quella fase di transizione verso la nascita di un’arte italiana propriamente moderna che ha riunito gli esiti del tardo Simbolismo, il superamento dell’estetismo dannunziano, il Divisionismo di stampo intimista e sociale, e le prime prove prefuturiste. Coetaneo di Umberto Boccioni e Gino Severini, l’artista romagnolo ha avuto una brevissima esistenza vissuta quasi interamente nella nativa Faenza, ma punteggiata di importanti soggiorni a Firenze (dove ha studiato all’Accademia di Belle Arti dal 1900 al 1903 e dove conosce Lorenzo Viani), Roma, Venezia e Milano. Pittore, disegnatore tra i migliori della sua generazione (e presto riconosciuto dalla critica, come dimostra l’apprezzamento incondizionato di Vittorio Pica), scultore e tra i più intelligenti interpreti dell’Art Nouveau italiano, Baccarini ha riunito intorno a sé un gruppo di artisti (noto come «Cenacolo Baccariniano»1) che ha segnato un momento importante nella cultura romagnola a cavallo del secolo. 

All’interno della versatilità stilistica e tematica di Baccarini, che va dal Preraffaellismo di Dante Gabriel Rossetti al Divisionismo sociale, l’Orto presso i Cappuccini rappresenta un esempio di pittura di paesaggio tra i più compiuti. L’artista ha cominciato a lavorare sul paesaggio a partire dal 1901, realizzando per lo più quadretti caratterizzati da una pasta densa e da atmosfere brumose e crepuscolari, come dimostrano i piccoli notturni di Venezia trattati in maniera sommaria e sintetica. Il dipinto in esame, acquistato da Francesco Federico Cerruti nel 1990 dopo aver visitato la mostra «Bagliore e oscurità» organizzata dallo Studio Paul Nicholls in occasione della X Fiera internazionale dell’antiquariato di Milano, rientra in una serie di lavori che Baccarini ha dedicato al convento dei Cappuccini di Faenza, distrutto durante la Seconda guerra mondiale e subito ricostruito. Tra i dipinti conosciuti, si segnalano Le mura del convento dei Cappuccini del 1903 (Faenza, Pinacoteca Civica), caratterizzato dall’uso libero della tecnica divisionista, che alterna punti e tratti, e di sgraffi dati col retro del pennello, e Il Convento dei Cappuccini sotto la neve, ora di ubicazione ignota2; inoltre, anche alcuni disegni conservati alla Pinacoteca Civica di Faenza, come le due Vedute dello stradello dei Cappuccini3, trovano affinità col dipinto in esame. 

Orto presso i Cappuccini sintetizza, in ogni caso, alcuni aspetti della poetica del pittore: il naturalismo, l’attenzione al reale con quel gusto per le piccole cose quotidiane, la fusione di senso lirico e oggettività, il tutto in forte assonanza con certa poesia italiana a cavallo del secolo, in particolare di Giovanni Pascoli4. Il dipinto è stato verosimilmente eseguito subito dopo il rientro a Faenza dal soggiorno romano del 1904 e sembra portare con sé i retaggi di quell’esperienza; il contatto con la capitale e con il circolo di artisti orbitanti intorno a Giovanni Prini, tra i quali Balla, Boccioni e Severini, stimola Baccarini a studiare con rinnovata attenzione figure e paesaggi, alcuni dei quali sono esposti nel giugno dello stesso anno nella redazione de «La Patria», il quotidiano per cui lavorava. 

Rispetto a Balla e compagni, tuttavia, Baccarini, seppur nella consonanza di alcuni temi, rimane più attento alla resa naturalistica d’insieme e meno preoccupato da questioni percettive e luministiche. Nonostante l’intonazione fredda del dipinto, in cui le diverse tonalità di verde, di terra e di rosa sono illuminate da una luce chiara, senza contrasti, tipica di un giorno senza sole, mentre le case e gli alberi sullo sfondo sono profilati da un alone blu, le pennellate veloci e svirgolate del dipinto riescono a donare un certo ritmo vibrante grazie all’alternanza di tache e punti larghi. 

Sul retro della tela (fig. 1) è impostato un dipinto di figura a larghi tocchi divisionisti, una figura maschile con cappello, vicina al disegno I mietitori (1906, Faenza, Pinacoteca Civica). Si tratta di un tema indagato anche in altri fogli realizzati in quello stesso 1906 e che appaiono in linea con le ricerche portate avanti nello stesso periodo da Pellizza da Volpedo. 

Matteo Piccioni 

 

1 Faenza 1983, Faenza 2007. 

2 Ravenna-Faenza 2007, p. 237, n. III. 4. 

3 Ibid., n. IV.78 e IV.79. 

4 Sapori 1928.  

Fig. 1. Il verso del dipinto.