Nu debout III
Nudo in piedi III
Alberto Giacometti
1953 c.
Bronzo
55 x 16 x 10 cm
Anno di acquisizione 1995-1999
Inv. 0118
N. Catalogo A110
Provenienza
Bibliografia
[...] Giacometti non fa altro [...] che mettere in scena l’irrealizzabilità del comprendere e del possedere, che è poi il catturare la visione oggettiva, confermando come tutto il suo lavoro sia una grande opera meta-artistica della quale solo il processo creativo è l’unico protagonista.
Tra i più grandi scultori del Novecento, oltre che pittore e incisore, Alberto Giacometti ha indagato, con la sua opera, l’impossibilità di afferrare la realtà da parte dell’artista e allo stesso tempo la possibilità di tradurre sinteticamente la percezione che questi ha del mondo (ponendosi in questo senso in continuità con la ricerca di Paul Cézanne), in particolare della figura umana. L’indagine di Giacometti, infatti, è stata sin dagli esordi caratterizzata dall’ossessione per il rapporto realtà/ percezione laddove la riproduzione del reale da parte dell’artista è condizionata dal suo vissuto, pure emotivo, nonché dalle interferenze della memoria, anche quando si trova davanti al modello. L’idea di percezione instabile e modificata dal sentimento, dal ricordo, dalla luce e dal tempo, allaccia idealmente la sua pratica a quella di Medardo Rosso, del quale è certamente il miglior erede, laddove lo svizzero tenta di fermare l’istante di quella percezione. Alla fine degli anni venti e per i primi anni trenta, Giacometti è tra i più originali interpreti del Surrealismo, periodo in cui si discosta dalla realtà; nel 1935, torna a lavorare in rapporto con il modello, ma è soprattutto dagli anni immediatamente successivi alla guerra trascorsi in Svizzera e dal suo rientro a Parigi nel 1946 che l’artista matura il linguaggio noto ai più, a metà strada tra la fenomenologia di Maurice Merleau-Ponty1 e l’esistenzialismo di Jean-Paul Sartre, del resto uno dei suoi più celebri interpreti.
I soggetti affrontati a partire da quegli anni sono generalmente figure femminili nude e stanti, e busti ritratti di suo fratello Diego. L’opera in esame rientra in una tipologia di nudi realizzati nel 1953 in almeno quattro versioni dal titolo generico Nu debout. In particolare, si tratta dell’esemplare 0 di 6 della terza versione del soggetto, Nu debout III, molto prossimo a Nu debout II il cui gesso si trova alla Fondation Giacometti di Parigi; del soggetto si conoscono almeno la fusione 1/6 (Zurigo, Alberto Giacometti-Stiftung, GS 048) e la 2/62, mentre la scultura entrata nella Collezione Cerruti, segnata come 0/6, potrebbe essere una prova d’artista oppure una fusione fuori serie, appartenuta alla collezione del gallerista Giulio Urbinati, dal quale è stata acquistata.
La donna ritratta è Annette Arm, moglie dell’artista, conosciuta nel 1943 e sposata nel 1949, sua modella di riferimento per tutto il periodo postbellico. Rispetto alle celebri donne allungate e molto magre (ad esempio le Femmes de Venise, 1956), la serie Nu debout si caratterizza, oltre che per le dimensioni relativamente ridotte (variamente alte tra 16 e i 55 cm), per una resa del corpo che esalta gli aspetti più propriamente femminili, con seni prominenti, fianchi larghi e la citata capigliatura, sottolineando formalmente curve e controcurve a discapito di uno slancio verticale e filiforme, evocando quasi, in ultima analisi, una figura sacrale, una arcaica divinità della fertilità. Del resto, la scultura matura di Giacometti, come noto, strizza l’occhio alla statuaria antica, alludendo da una parte alle korai greche e alle figurazioni egizie, dall’altra alla scultura italica ed etrusca. Tali modelli, tuttavia, sono solo un filtro intellettuale per lo scultore che ritrae sempre dal vero, con modelli che posano a distanza prestabilita, al fine di restituire solo quello che l’artista vede (e come lo vede) di fronte a sé. Si tratta di un discorso eminentemente spaziale e in questo contesto la base su cui poggiano le sue sculture è un elemento centrale poiché è a un tempo supporto e rappresentazione dello spazio reale. Anche le dimensioni relativamente ridotte sono strettamente collegate alla volontà di rendere il soggetto visto a distanza, nello spazio, vale a dire non nella sua dimensione reale, ma in quella percepita grazie allo scarto spaziale. Nel puntare l’attenzione sull’incapacità di afferrare la donna e la sua nudità, Giacometti non fa altro, ancora una volta, che mettere in scena l’irrealizzabilità del comprendere e del possedere, che è poi il catturare la visione oggettiva, confermando come tutto il suo lavoro sia una grande opera meta-artistica della quale solo il processo creativo è l’unico protagonista3.
Matteo Piccioni
1 Scacco 2017.
2 Ascona 1985, p. 54, n. 4.
3 Bonnefoy 1991.
