Mosé fa scaturire l'acqua dalla roccia
Valerio Castello
1655 c.
Olio su tela
51 x 42,5 cm
Anno di acquisizione ante 1983
Inv. 0043
N. Catalogo A35
Provenienza
Esposizioni
Bibliografia
Il gesto deciso di Mosè, che si staglia su un cielo azzurro «strapazzato da nuvole», sembra quasi dirigere il movimento del gruppo di figure in primo piano, punteggiate dalle tonalità squillanti delle vesti [...]
Rispetto ai pittori della generazione precedente, Valerio Castello apre un orizzonte nuovo traghettando, nell’arco della sua breve carriera, la pittura genovese verso il Barocco. Accanto al recupero della produzione manieristica primo-cinquecentesca di Perin Del Vaga, Valerio rilegge le opere di Correggio e Parmigianino, un confronto inizialmente mediato dalla presenza a Genova del milanese Giulio Cesare Procaccini. La sua pittura aerea, leggera e sfaldata trova una dimensione ideale nei bozzetti oggetto di precoce fortuna collezionistica, come nel caso della piccola tela qui schedata riconoscibile nel «Mosè che trae acqua dalla rupe, bozza di Valerio Castello» descritta da Federigo Alizeri all’interno della collezione allestita al piano terreno del palazzo di Massimiliano Spinola (ora Prefettura)1. L’opera non sembra più presente nel palazzo nella successiva descrizione del 18752, e nessun altro passaggio collezionistico è documentato. L’identificazione della tela, già presente in Collezione Cerruti nel 1993 come attesta l’inventario manoscritto di quell’anno, con la «bozza» di casa Spinola spetta a Camillo Manzitti, che la considera il modelletto preparatorio per il dipinto acquisito dal Louvre nel 1869 con la collezione di Louis La Caze3. Il gesto deciso di Mosè, che si staglia su un cielo azzurro «strapazzato da nuvole», sembra quasi dirigere il movimento del gruppo di figure in primo piano, punteggiate dalle tonalità squillanti delle vesti, che le diagonali di luce fanno emergere dal caldo registro cromatico della composizione, e dalle accensioni luminose sulla superficie metallica del vasellame, citazione dalla pittura del Castiglione, uno dei riferimenti della cultura figurativa di Valerio.
Il bozzetto è costruito intorno alla figura di Mosè, vertice di una composizione serrata, di cui Manzitti ha messo in evidenza il gioco virtuoso di luce e colore da cui scaturiscono le figure4. Nella redazione finale Valerio Castello sceglie, invece, una spazialità più ampia dove la figura di Mosè si perde nel movimento continuo, creato dall’animato rimando di sguardi e gesti che affollano il dipinto (fig. 1).
La datazione del dipinto oggi al Louvre intorno alla metà del sesto decennio suggerisce un’analoga cronologia per il bozzetto. Sono gli anni in cui, in corrispondenza della sempre più intensa attività nella decorazione ad affresco, la pittura di Valerio si fa esuberante, la cromia si accende, le figure perdono consistenza plastica e si accentua il ritmo dinamico delle composizioni.
Gelsomina Spione
1 Alizeri 1846-1847, vol. II, parte I, p. 777.
2 Alizeri 1875, p. 242.
3 Manzitti 2004, p. 154, n. 139; Loire 2006, pp. 80, 81.
4 Manzitti 2004, p. 154, n. 139.
Fig. 1. V. Castello, Mosè colpisce la roccia, 1653-1655 c. Parigi, Musée du Louvre.

