Miracolo della Messa di san Procolo

Pacino di Buonaguida

1320-1325
tempera e oro su tavola
senza cornice 26.2 x 30.5 cm con cornice (plexiglass) 34 x 43,5 x 7 cm
Anno di acquisizione 1993


N. Catalogo A17
Inv. 0017


Provenienza

Pacino di Bonaguida fu attivo a Firenze nella prima metà del Trecento come pittore e miniatore. Il suo nome compare in un documento del 20 febbraio 1303 che sancisce la fine della collaborazione con Tambo di Serraglio, pittore di cui non si hanno altre notizie, e poi intorno al 1330, nei libri di immatricolazione all’arte dei Medici e Speziali, alla quale afferivano i pittori1. Punto di partenza per la ricostruzione della sua attività artistica è il polittico con la Crocifissione e i santi Nicola, Bartolomeo, Fiorenzo e Luca (Firenze, Galleria dell’Accademia, inv. 8568, proveniente dalla chiesa fiorentina di San Firenze), che conserva una iscrizione con il suo nome accanto a quello del committente e a una data purtroppo frammentaria: «Symon [p]r[es]b[i]ter s[ancti] Flor[enti] fec[it] pi[n]gi h[oc] op[us] a Pacino Bonaguide an[no] D[omi] ni MCCCX[...]», che secondo i più doveva indicare l’anno 1320. La notorietà di Pacino è legata al suo impegno come miniatore, attività nella quale fu spesso affiancato dal Maestro delle effigi domenicane, un artista ancora anonimo e forse di una generazione più giovane con il quale condivise una bottega che nel secondo quarto del Trecento esercitò una sorta di monopolio della decorazione libraria a Firenze, puntellato da opere di considerevole impegno come i commenti illustrati alla Commedia dantesca (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Pal. 313), alla Nuova Cronica di Giovanni Villani (Città del Vaticano, Chig. L VIII 296) e ai Regia Carmina di Convenevole da Prato (Londra, British Library, Royal 6 E IX). Nella pittura su tavola le doti di narratore si manifestano nella varietà e originalità dei temi devozionali cui seppe dare voce, dal Lignum vitae di Bonaventura da Bagnoregio alla storia del beato Chiarito del Vaglia, ma si mostrò anche capace di un confronto meditato con le tendenze più aggiornate della cultura figurativa contemporanea2. L’opera qui discussa, come indica la venatura orizzontale del legno, è il frammento di una predella e raffigura la Messa miracolosa di san Procolo vescovo di Narni (fig. 1). Tra le diverse versioni del racconto quella qui raffigurata mostra san Procolo che, durante la celebrazione della messa, ha la visione di un angelo, il quale dopo avergli preso il calice dalle mani e averlo portato in cielo glielo riconsegna pieno del sangue di Cristo. Il calice è ora perduto ma se ne intravede un frammento tra le pieghe del drappo che l’angelo tiene tra le mani3. A destra un gruppo di fedeli assiste stupito all’evento. Della stessa predella si conoscono altri cinque scomparti: San Procolo ordina a una cerva di fermarsi e San Procolo prende il latte per i compagni assetati (Cambridge, Massachusetts, Fogg Art Museum, invv. 1943.110, 1943.111), il Martirio di san Procolo (collezione privata), la Decapitazione di san Procolo (già Siena, Collezione Piccolomini-Bandini) e la Resurrezione di un fanciullo morto posto sotto la tomba di san Procolo (Newark, Delaware, Collezione Alana, fig. 2)4

La vita di san Procolo è un racconto molto raro, non incluso nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, principale fonte agiografica dal secondo Duecento in avanti; la presenza di una chiesa intitolata a questo santo a Firenze è legata alla devozione nei suoi confronti da parte dei monaci della vicina Badia di Santa Maria Assunta che ne detenevano il patronato. A san Procolo era infatti intitolato il monastero dei benedettini bolognesi che si adoperarono fortemente per promuoverne il culto, non solo in ambito cittadino ma anche in quello più vasto della congregazione. La devozione e la conseguente letteratura agiografica medievale annoveravano però diversi santi con questo nome, spesso confusi tra di loro: a Bologna si veneravano insieme due martiri, uno dei quali vescovo, un vescovo a Narni, un altro a Verona e un altro ancora a Ravenna. Le leggende di due di questi, il vescovo di Narni e il martire di Bologna, nel XII secolo si fondono in un nuovo racconto di cui conserva memoria il Legendarium del domenicano Pietro Calò, fonte degli episodi illustrati nella predella del polittico di Pacino di Bonaguida. Lo scomparto della Collezione Cerruti e i due ora a Cambridge si riferiscono ai fatti della vita del vescovo di Narni, riportati dalla Leggenda dei XII Siri (BHL, I, pp. 245-246, n. 1620; II, pp. 1012- 1013, nn. 6955-6957; Lucchesi 1968, cc. 1155-1157; Saiani 2015-2016, pp. 40, 43, 56-58). Secondo quest’ultima Procolo sarebbe giunto a Roma dalla Siria al tempo dell’imperatore Giustino (518-527) ma a causa delle persecuzioni inferte ai cristiani si sarebbe rifugiato a Narni, dove avvennero il prodigio raffigurato nello scomparto qui discusso e già descritto e quello narrato nelle tavolette ora a Cambridge, articolato in due episodi. Nel primo dei due scomparti (inv. 1943.110) Procolo fa comparire una cerva, durante il viaggio verso Roma con gli inviati del papa Eugenio, che non credendo ai suoi miracoli lo ha fatto convocare. Nel secondo (inv. 1943.111) il santo munge il latte della cerva per dissetare i suoi compagni di viaggio, che in precedenza si erano rifiutati di ricevere da lui la comunione. Qui finisce il riferimento alla leggenda siriana e al racconto del vescovo di Narni; il racconto di Pietro Calò prosegue quindi attingendo all’agiografia del santo martire bolognese (BHL 6957 e Acta Sanctorum 1695, pp. 50-51, 79-82). Per sfuggire alle persecuzioni Procolo si rifugiò a Bologna, dove però venne catturato da Totila, re dei Goti, che lo sottopose a tortura, facendogli togliere dalla schiena due strisce di pelle, come si vede in uno degli scomparti della predella di Pacino di cui non conosciamo l’ubicazione, quindi gli fece tagliare la testa, come si vede in quello successivo. Dalla passione del santo bolognese deriva anche l’episodio post mortem che Pacino raffigurò nello scomparto all’estremità destra della predella (ora Newark, Collezione Alana), dove un fanciullo morto torna in vita dopo essere stato sepolto sotto la tomba del santo. A seguito di questo evento il sepolcro di Procolo sarebbe stato aperto scoprendo il suo corpo intatto e senza alcun segno della decapitazione subita. Le tavolette, in origine dipinte su un’unica asse, sono identificabili con le «storiette della vita di S. Procolo che si credono opera di Ambrogio Lorenzetti da Siena» ricordate dal padre Giuseppe Richa come parti del polittico già sull’altare maggiore della chiesa di san Procolo a Firenze, del quale si conoscono anche gli scomparti con i santi Nicola, Giovanni evangelista e Procolo ora presso la Galleria dell’Accademia di Firenze, mentre sono dispersi la Madonna con il Bambino che si trovava al centro e un san Giovanni Battista, pure ricordato dalle fonti5. La presenza di san Nicola a destra della Vergine, in una posizione d’onore apparentemente incongrua con la dedicazione della chiesa, è dovuta alla memoria di un antico spedale dedicato a questo santo, adiacente a san Procolo e demolito nel 1214, con i materiali del quale, secondo le fonti, sarebbe stato realizzato l’ampliamento di quest’ultimo6. Vincenzo Borghini poteva ancora vedere l’opera nella sua sede originaria7, all’epoca del Richa però gli scomparti principali erano conservati in sagrestia e le storiette in una «galleria» attigua all’appartamento del rettore della chiesa. Sulla base della puntuale descrizione dell’erudito, per completare la ricostruzione della predella manca ancora all’appello uno scomparto con il Miracolo della mano risanata, che doveva seguire i due scomparti con la storia della cerva, mentre quello qui discusso apriva la sequenza narrativa. L’ipotesi, avanzata in passato, che l’ordine principale fosse costituito da sette e non cinque scomparti è contraddetta da elementi di varia natura, non ultimo le dimensioni8. L’ordine principale, se si contano solo cinque scomparti, raggiunge l’ampiezza di almeno 250 cm, che supererebbero i tre metri supponendo la presenza di altri due elementi. Si tratta di dimensioni e di una tipologia, l’eptittico, che non hanno corrispondenza nelle opere fiorentine dell’epoca: è probabile dunque che le sette scene della predella non fossero centrate rispetto agli scomparti dell’ordine superiore ma si susseguissero, separate da fasce decorative, come nelle predelle di Bernardo Daddi per l’Assunta del Duomo di Prato e per il polittico di Santa Reparata a Firenze. Quella di san Procolo è probabilmente una delle più antiche predelle fiorentine che ci sono pervenute, insieme a quella con Storie di santa Cecilia dello stesso Bernardo Daddi, databile forse al 13269. Una data simile conviene del resto, per indipendenti ragioni di stile, anche al polittico di Pacino che dovrebbe essere posteriore a quello della chiesa di San Firenze, databile come si è visto al 1320, perché segnato da una più matura consapevolezza del plasticismo scultoreo del linguaggio giottesco.

[Sonia Chiodo]

1 Milanesi 1893, pp. 17, 18.

2 Per una recente riconsiderazione dell’attività di questo artista si veda il catalogo della mostra Los Angeles - Toronto 2012-2013.

3 Sulla tradizione della leggenda di san Procolo si veda Melloni 1773, vol. I, pp. 25-32, che include una puntuale descrizione dei miracoli attribuiti al santo. Si veda inoltre Lucchesi 1968, cc. 1155-1158.

4 Offner 1930, pp. 101-107; Id. 1956, pp. 153-160.

5 Richa 1754-1762, vol. I, t. I, pp. 239, 242, 243. Per gli scomparti dell’ordine principale si veda I. Tronconi, in Boskovits, Tartuferi 2003, pp. 210-216. 

6 Alla luce di queste circostanze si giustifica anche la devozione al vescovo di Myra attestata dalle opere eseguite per la chiesa da Ambrogio Lorenzetti; si veda G. Amato, in Siena 2017-2018, pp. 174-181.

7 Borghini 1584, pp. 296, 297; Richa 1754-1762, vol. I, t. I, pp. 239, 242, 243.

8 Offner1956, pp. 153, 154.

9 C. Stehlke, in Prato 2017-2018, pp. 134, 135.