Madonna dell’Umiltà

Niccolò di Pietro Gerini

1395-1405 c.
tempera e oro su tavola
103 x 60 x 8 cm (con cornice); 77,5 x 46,5 cm (superficie dipinta)
Anno di acquisizione 1984-1993


N. Catalogo A3
Inv. 0003


Provenienza

Al centro della tavola, la Vergine Maria è seduta su un cuscino trapunto d’oro, secondo il tipo iconografico della Madonna dell’Umiltà, e trattiene in braccio il figlioletto scalciante, che con una mano si afferra al velo, mentre nell’altra stringe un cardellino in procinto di spiccare il volo. Dietro di loro due angeli dispiegano il drappo d’onore ricamato. 

 

 

Il supporto ligneo, imbarcato, è attraversato da un’ampia fenditura verticale al centro, ben visibile da tergo, dove sono state inserite cinque farfalle e dove si notano tracce di colla. Al vertice sono evidenti i danni causati dall’attacco di insetti xilofagi. Anche la superficie dipinta si presenta molto impoverita: alcuni dettagli come il cardellino sono quasi completamente spariti; in alto, subito al di sopra del drappo, si leggono i segni di un’ammaccatura. Si rileva la notevole perizia tecnica nell’operazione dell’oro, a cominciare dalla cornice lavorata a punzone e bulino; a punzone è realizzato anche il gallone dorato del candido manto di Maria, ornato a missione con un motivo a losanghe, mentre i peneri del cuscino sono graniti solo sul bordo superiore per ottenere un effetto di lumeggiatura.

Una fotografia della Fondazione Zeri (n. 17182) mostra la tavola in uno stato di conservazione precedente all’ultimo restauro: la cornice era stata completamente ridorata e risarcita delle due colonnine tortili, mentre alla base erano stati dipinti due stemmi fittizi. 

Prima di passare alla Collezione Cerruti, la Madonna dell’Umiltà aveva fatto parte della raccolta di Paolo Candiani1come risulta da un cartellino apposto sul retro che riporta anche un’erronea attribuzione a Lorenzo di Niccolò. Già nel 1975 invece il dipinto, allora di ubicazione ignota, era stato attribuito da Miklós Boskovits a Niccolò di Pietro Gerini, prolifico pittore fiorentino attivo, nell’arco della lunga carriera scalabile tra il 1368, che segna la sua immatricolazione all’Arte dei Medici e degli Speziali, e il 1416, anno della sua morte, in tutte le sedi più rappresentative di Firenze, oltre che in altri centri della Toscana tra cui Pisa e PratoQuesto successo si spiega in ragione della sua rigorosa reinterpretazione dell’illustre tradizione giottesca d’inizio secolo che era stata tramandata dalla bottega di Andrea e Nardo di Cione, entro la quale sembra essersi svolto il suo apprendistato. Nella tavola qui analizzata la solida volumetria delle figure e le loro rigide movenze risentono ancora dei monumentali prototipi orcagneschi. Allo stesso tempo, la notevole perizia tecnica dimostrata dall’autore nel restituire i dettagli decorativi, i delicati accordi cromatici, come quello del manto bianco di Maria dal risvolto aranciato, oppure il cangiantismo della vesticciola di Gesù, sono un sintomo della reazione di Gerini alle più moderne istanze tardogotiche. Soltanto alla fine del Trecento, inoltre, nei dipinti fiorentini dedicati al tema della Madonna dell’Umiltà si riscontra la variante del Bambino eretto, invece che sdraiato nelle braccia di Maria, e quella degli angeli reggi-cortina (motivo derivato dal prototipo affrescato da Simone Martini nella lunetta d’ingresso della chiesa di Notre-Dame-des-Domes ad Avignone)2Sono questi elementi stilistici e iconografici a suggerire una datazione più avanzata dell’opera rispetto a quella proposta da Boskovits (1385-1390), anche tenendo conto del passato riferimento a Lorenzo di Niccolò, collaboratore di Gerini a partire dalla metà dell’ultimo decennio del Trecento e fino al 1404 circa. 

[Silvia De Luca] 

1 Architetto e pittore, Paolo Candiani (Busto Arsizio, 1897 - Gorla Maggiore, 1981) ricoprì la carica di presidente dell’Accademia di Brera a Milano. La sua collezione di dipinti, dedicata soprattutto ad artisti veneti e lombardi, comprendeva anche diversi fondi oro, tra cui un’opera di Jacopo di Cione (Busto Arsizio 2013, p. 19).

2 Meiss 1936, pp. 447, 448.