Madonna dell'Umiltà
Gherardo di Jacopo, detto Lo Starnina
1401-1402 c.
Tempera e oro su tavola
90 × 57,8 cm (con cornice: 97,5 × 64,5 × 7 cm)
97,5 × 64,5 × 7 cm
Anno di acquisizione post 1983
N. Catalogo A18
Inv. 0018
Provenienza
Esposizioni
Bibliografia
La Madonna dell’Umiltà testimonia al meglio l’ambiguità costitutiva della pittura di Starnina, cresciuta su stimoli divergenti e contraddittori, tra cadenze rigorosamente fiorentine e accenti esotici di origine iberica.
Appartenuto alla collezione di Robert Langton Douglas, il dipinto è stato reso noto da Roberto Longhi nel 1965 con il corretto riferimento al Maestro del Bambino Vispo, più tardi identificato con Gherardo Starnina1. A fronte dell’ottima condizione della superficie pittorica, il fondo della tavola, assottigliata e parchettata, è stato completamente ridorato, in seguito a un intervento circoscrivibile tra il suo passaggio all’incanto presso la Galerie Fischer a Lucerna, nel novembre 19612, e l’anno della pubblicazione longhiana. La foto nel catalogo di vendita, dove l’opera è già riferita al Maestro del Bambino Vispo, ne documenta lo stato precedente, con la lamina metallica abrasa che lascia emergere dal fondo il bolo, come attestano pure due scatti Schiff, realizzati nel 1958-1959 quando il dipinto si trovava in collezione Julius H. Weitzner (Fototeca Zeri inv. nn. 32342 e 32343). Originali e in buono stato sono invece l’aureola crucigera del Bambino, ornata da una scritta pseudocufica, il drappo rosso sgraffito sull’oro disteso in terra e il cuscino operato su cui posa la Vergine.
La Madonna dell’Umiltà testimonia al meglio l’ambiguità costitutiva della pittura di Starnina, cresciuta su stimoli divergenti e contraddittori, tra cadenze rigorosamente fiorentine e accenti esotici di origine iberica. Il Bambino bilicato che sembra scalare il corpo della madre è un consapevole estratto dalla Madonna giottesca di Oxford, che ebbe grande fortuna nel primo Quattrocento3. Starnina lo recuperò per primo, traducendolo in un tono festoso, scopertamente tardogotico, sbrigliando i ritmi delle vesti, dalla cromia acidula e aspra, accendendo i rossori delle gote e l’intensità emotiva degli sguardi di Maria e del figlio4. Questi umori crepitanti, sconosciuti alla tradizione fiorentina contemporanea, derivano al pittore dal contatto diretto con l’ambiente cosmopolita valenzano, dominato da Pere Nicolau e Marçal de Saxl, frequentato durante il soggiorno spagnolo di Starnina, il cui esempio, retour d’Espagne, sarà decisivo per la fiammata tardogotica nella Firenze di inizio XV secolo. Alle sue opere spagnole riconduce subito il manto risvoltato sul capo della Vergine che lascia scoperti i capelli morbidi, come nella Deesis del Giudizio Finale nella cuspide del polittico di Bonifacio Ferrer presso il Museo de Bellas Artes a Valencia.
La fodera, di un arancio infuocato, dialoga con la tavolozza squillante della predella di Collado de Alpuente; le mani di Maria hanno dita sfinate come quelle dalla Madonna dell’Umiltà del Museum of Art di Cleveland, certamente dipinta in Spagna, dall’anulare similmente guarnito da due anelli. Rispetto alla stagione spagnola i volumi sembrano però più floridi e il tepore fragrante delle carni turgide richiama la pala lucchese dell’Assunta e in maniera ancora più esplicita il polittico nel Museo Martin von Wagner di Würzburg, destinato con ogni probabilità alla cappella di San Filippo in San Frediano a Lucca, di patronato Gentili5 e realizzato negli stessi anni degli affreschi fiorentini del Carmine, preziosi punti fermi nel percorso del pittore, licenziati nel biennio 1402-14046. La sintesi riuscita tra orientamenti opposti è il risultato più alto dell’arte di Starnina, interessata nel corso del primo decennio del Quattrocento da una progressiva formalizzazione, favorita dal dialogo crescente con Lorenzo Ghiberti e Lorenzo Monaco, che attenua l’estro capriccioso delle opere spagnole. Di queste frequentazioni non c’è ancora traccia nella Madonna Langton Douglas, così da orientare verso una cronologia in bilico tra la fine del soggiorno valenzano7, dove il pittore è ricordato l’ultima volta nel luglio 1401, e l’abbrivio del suo rientro in Toscana, dove è documentato già nel giugno del 14028.
Una datazione simile sembra confermata anche dalle affinità con il Thronus Gratiae, altrettanto sfuggente, della Collezione Chiaramonte Bordonaro a Palermo. In quest’opera infatti se le vicende collezionistiche, i volumi torniti e lo stesso supporto in pioppo suggeriscono una genesi italiana, i nervosismi calligrafici e la profilatura mistilinea della tavola sembrano piuttosto indicarne un’origine spagnola, incoraggiata pure dal decoro floreale granito della lamina del fondo, un unicum nel catalogo di Starnina, già diffuso fin dall’aprirsi del Quattrocento nella penisola iberica, ma del tutto eccezionale in Toscana prima della comparsa sporadica nella maturità di Pirez e in Francesco d’Antonio9. Il punto di stile è identico: la veste violacea del Dio Padre consuona con i toni vinaccia della tunica del Bambino della Madonna Langton Douglas, ed è avvivata da falcature sinuose e addensamenti analoghi. Il volto vispo del piccolo Gesù, del resto, malcerto tra le braccia della Vergine e animato dallo sguardo furbesco, è gemello dei serafini disposti tutt’intorno alla croce nella tavola Chiaramonte Bordonaro, partecipi della stessa fanciullezza ridente e scaltra.
[Emanuele Zappasodi]
1 Van Waadenojien 1974.
2 Bedeutende Kunstauktion 1961, p. 88 (lot. 1640).
3 Bellosi 1966, p. 47; Volpe 1973; A. De Marchi, Gherardo Starnina, in Lucca 1998.
4 Zappasodi 2017, p. 78, n. 13.
5 Pisani 2017, p. 161.
6 Procacci 1933, pp. 188-190; A. M. Bernacchioni, Riflessioni e proposte sulla committenza di Gherardo Starnina, pittore del guelfismo fiorentino, in Parenti, Tartuferi 2007, p. 44.
7 A. De Marchi, Gherardo Starnina, in Lucca 1998, p. 260.
8 Come accertato da Alberto Lenza: si veda A. De Marchi, Gherardo Starnina, l’Annunciazione di Lucca, in Biscottini, Righi 2014, p. 38, n. 6.
9 Zappasodi 2017, pp. 80-81, nota 44.