Madonna del latte
Giovanni Antonio Amadeo
1475 c.
Marmo
66 x 72 x 30 cm
Anno di acquisizione 1997
Inv. 0639
N. Catalogo A562
Provenienza
Esposizioni
Bibliografia
Della raccolta di sculture che appartenne a Francesco Federico Cerruti questo magnifico marmo costituisce certamente il vertice. Il suo stato di conservazione appare complessivamente molto buono, nonostante alcune piccole rotture (tra cui il padiglione dell’orecchio destro della Vergine) e una leggera consunzione generale della superficie, più vistosa nelle parti in maggiore aggetto, come il naso di Maria, cosa che induce a pensare a una prolungata esposizione dell’opera all’esterno.
Si tratta di un altorilievo, evidentemente concepito per una visione a distanza, forse entro l’alloggiamento di una nicchia: l’unico punto di vista previsto dallo scultore è quello frontale e dal basso, come dimostra la lavorazione che s’interrompe sui lati, nella parte sommitale e sul tergo, tutte porzioni solo sommariamente sbozzate. Non si tratta insomma di un’immagine pensata per la devozione privata e destinata alla camera di un palazzo o alla cella di un convento, ed è anzi ragionevole credere che facesse originariamente parte di un complesso monumentale, magari inserita al di sopra di un portale o a coronamento di un sepolcro.
La scultura appartenne alla favolosa collezione di Alessandro Contini Bonacossi fin dagli anni venti del secolo scorso, come testimonia una fotografia che la mostra in una sala della sua residenza romana, in via Nomentana, in compagnia di molti capolavori, tra cui vari altri marmi del Rinascimento lombardo e la Crocifissione di Giovanni Bellini oggi al Louvre1; pervenne quindi a Firenze col trasferimento del Contini e della sua raccolta2. Fu però solo nel 1950 che Gian Alberto Dell’Acqua la segnalò, senza riprodurla, in margine a un lungo saggio dedicato ai fratelli Antonio e Cristoforo Mantegazza, riferendola in particolare a quest’ultimo, attribuzione con la quale la Madonna Contini Bonacossi figurò alla storica mostra sull’«Arte lombarda dai Visconti agli Sforza» allestita in Palazzo Reale a Milano nel 19583. In tempi più recenti la ricostruzione delle personalità dei fratelli Mantegazza così come configurata da Dell’Acqua è stata minata alle fondamenta e la gran parte di quel corpus è transitato a ragion veduta sotto i nomi di Giovanni Antonio Piatti e di Giovanni Antonio Amadeo, i cui rispettivi cataloghi, nonostante molte e accese discussioni anche recenti, hanno tuttora confini assai permeabili. Nel 1991, in particolare, Marco Tanzi ha riprodotto la Madonna del latte, nel frattempo venduta dagli eredi Contini Bonaccossi e immessa sul mercato antiquario, con una cauta attribuzione al Piatti, da lui stesso in seguito corretta in favore dell’Amadeo4. Il pezzo, peraltro, era riemerso nel frattempo (1996) a un’asta londinese di Sotheby’s; in quell’occasione, l’anonima, succinta scheda di presentazione lo riferiva appunto all’Amadeo. Si tornava così al nome con cui il pezzo era presentato fin dall’origine in casa Contini Bonacossi5 e non c’è dubbio che sia questa in effetti la giusta soluzione, come conviene anche Cara 2015. Acquistata da Giovanni Sarti, la scultura fu presentata nel 1997 alla Biennale di Antiquariato del Lingotto di Torino, dove la acquistò Francesco Federico Cerruti.
Come suggerito nel catalogo dell’asta londinese del 1996, all’interno dell’articolata carriera dello scultore pavese, che fu il vero patriarca del Rinascimento in Lombardia, la Madonna Cerruti trova la più convincente collocazione all’altezza dei lavori per la cappella di Bartolomeo Colleoni a Bergamo, impresa cui l’Amadeo attese tra il 1470 e il 1476 circa. È un capitolo cruciale e di profonda trasformazione per l’ancor giovane artista, che pochi anni prima aveva orgogliosamente apposto la firma sul suo capolavoro d’esordio, il portale marmoreo del chiostro piccolo della Certosa di Pavia (1467-1469 c.), ma che non è ancora approdato al registro più caratteristico della sua piena maturità, quello testimoniato dai capolavori intagliati nei primi anni ottanta per Cremona, dove serrato si fa il dialogo stilistico col Piatti, al quale Amadeo subentra nella realizzazione dell’Arca dei Martiri Persiani per la chiesa di San Lorenzo (oggi smembrata tra la Cattedrale cremonese e vari musei, in Italia e all’estero). Nella Madonna Cerruti, dunque, il mantello largo e acciaccato si articola con una libertà e una fantasia che travalicano le più nitide geometrie esibite nel portale certosino, dove le stoffe erano concepite in punte e speroni e il chiaroscuro tanto più secco e contrastato; né vi si registra più alcuna traccia di quelle ultime nostalgie gotiche che nel grande rilievo firmato ancora affioravano in qualche calligrafia di chiome, nel velo divagante agli orli, nelle anatomie non ancora così asciutte, nervose, quasi ossute, quali appaiono nel marmo in esame. Di contro, non è qui ancora esplosa quella fantasia sfrenata e tendenzialmente astratta che costituirà la cifra di gran parte della scultura lombarda nell’ultimo quarto del Quattrocento, all’insegna di panneggi frantumati in ragnatele di pieghe e pose di esacerbata espressività, in una sempre più radicale rinuncia alla dimensione plastica della scultura in favore di una proiezione sostanzialmente bidimensionale.
Il medesimo punto di stile della Madonna Cerruti è dunque quello che s’incontra nei marmi Colleoni, in particolare in quelli che si riferiscono alle ultime fasi dell’impresa: i rilievi del sarcofago inferiore del grande monumento funebre del condottiero, le figure di militari romani sedute subito sopra, ma soprattutto le statue della facciata. Nelle Virtù che fiancheggiano il portale, come nei putti appollaiati sui due ritratti imperiali (gli originali, sostituiti in loco da copie, si conservano oggi nel Luogo Pio della Pietà), Amadeo esprime un’umanità accomunata dagli stessi volti ovali, le fronti bombate, le sopracciglia inarcate in un semicerchio perfetto, le palpebre un po’ gonfie delle donne e gli occhi curiosi e ammiccanti dei bambini. E tutti, adulti e infanti, percorsi da una stessa vitalità nervosa e guizzante. La squisita sintesi stilistica della Madonna Cerruti rappresentava quanto di più moderno la scultura lombarda potesse esibire all’altezza del 1475 circa, e ne costituisce una sorprendente controprova la sua perfetta sintonia con un dipinto di una decina d’anni posteriore, la Madonna del latte di Boston, apice poetico del giovanissimo Bramantino.
Laura Cavazzini e Aldo Galli
1 Si veda Tamassia 1995, fig. a p. 176.
2 La si vede riallestita a Villa Vittoria, l’attuale Palazzo dei Congressi, in E. Colle, La collezione Contini Bonacossi a Villa Vittoria, in La collezione Contini Bonacossi 2018, p. 43, fig. 6, questa volta scortata da Piero della Francesca e da Paolo Uccello.
3 La si vede esposta nella sala 19, tutta dedicata ai Mantegazza e all’Amadeo, in una fotografia riprodotta in Longhi 2002, p.n.n, e anche in Russoli 1958, p. 77, fig. 1.
4 Si veda R. Cara, Giovanni Antonio Piatti e un «Cristo in pietà tra due angeli» a Casale Monferrato, in Casale Monferrato 2009, pp. 146-155.
5 Si veda Dell’Acqua 1950, p. 139.
