Madonna col Bambino

Barnaba Agocchiari, detto Barnaba da Modena

1365-1375 c.
tempera e oro su tavola
59.7 x 42 x 5,5 cm
Anno di acquisizione 2000


N. Catalogo A7
Inv. 0007


Provenienza

Firmata «Barnabas de Mutina pinxit» lungo il margine inferiore, l’opera fu resa nota da Frederick Mason Perkins nel 1916, in un breve intervento sulle pagine di «Rassegna d’Arte», quando la tavola era a Pisa nella raccolta di Robert Schiff (1854-1940). Nell’occasione Perkins ne ricordava un precedente passaggio nello studio fiorentino del pittore Federico Pedulli (1860-1938 c.), dove lo studioso americano l’aveva vista «una decina o più di anni» prima1. Nel 1945 essa fu esposta alla Mostra d’arte italiana a Palazzo Venezia, quando era passata ormai a Giorgio Giorgini-Schiff (1895-1965), secondogenito di Robert e Matilde Giorgini (1860-1940). Dal 14 marzo 2000 è entrata nella Collezione Cerruti. 

 

 

La Vergine sorregge il Bambino e reclina amorevolmente il volto verso il figlio, che appoggia teneramente la testa sulla spalla della madre, mentre con la mano destra si tocca la pianta del piedino sinistro, incrociando gli arti, dissimulando nella spontaneità del gesto infantile la sofisticata prefigurazione della sua fine sulla croce2La tunichetta gallonata indossata dal Bambino, stretta in vita da una cordicina dorata, è similissima nella foggia e negli ornati a quella cremisi del piccolo Gesù nella tavola cuspidata della Galleria Estense di Modena. La Vergine pinza con le sue dita lunghissime un lembo del maphorion, animandolo in falcature sinuose, come più volte nelle opere di Barnaba, dalla Madonna col Bambino un tempo nella raccolta Anton Philips ad Eindhoven, ricomparsa a Londra presso Christie’s il 6 luglio 2011, alla tavola dello Städel Museum di Francoforte, datata 13673. I toni affocati e il chiaroscuro denso dei carnati ricordano, invece, lavori più maturi come la Madonna della Misericordia di Santa Maria dei Servi e la Santa Caterina della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola a Genova, dipinti nel corso degli anni settanta del Trecento4. Tipico della pittura di Barnaba è il preziosismo estenuato delle dorature a missione della tunica del Bambino e della sottile crisografia bizantineggiante che corre sul manto e sulla veste scarlatta della Vergine. Consueta è pure l’elegante scritta in maiuscola gotica «AVE GRATIA PLENA» ricavata a risparmio sul compasso granito del nimbo di Maria, diversa rispetto alla firma in minuscola libraria, pure sull’oro. La lamina metallica del fondo è in massima parte consunta e lascia emergere a vista il bolo rosso della preparazione. La doratura è meglio conservata lungo i margini, ornati da una fascia di archetti trilobi affiancati da semplici bolli punzonati. Alcune fotografie storiche (fig. 1), tra cui quella «assai male riuscita» pubblicata dal Perkins (1916), documentano le vicende conservative travagliate della tavola, mostrando alcune consunzioni sulle vesti della Vergine e uno sbrano vistoso che partiva dalla guancia, attraversava completamente la bocca del Bambino per giungere fino al collo. Questa lacuna è stata poi reintegrata con notevole abilità mimetica in un intervento ingannevole - che in parte ha anche aiutato la doratura delle vesti - difficile da documentare ma senz’altro precedente all’ingresso dell’opera in Collezione Cerruti. Le condizioni conservative non hanno agevolato il giudizio della critica, incerta sulla cronologia del dipinto. Pasquale Rotondi (1957) ne ha suggerito una datazione nei pieni anni sessanta del Trecento; Roberto Longhi (1960) nel decennio successivo, in stretta continuità con la Santa Caterina oggi in Palazzo Spinola, per lui del 1375 circa; Enrico Castelnuovo (1964) ha inserito il dipinto nella fase estrema di Barnaba, a valle dell’attività pisana testimoniata dalla Madonna dei mercanti. All’opposto, la più recente proposta di Gianluca Zanelli (in Genova 2005)di restituire la tavola Schiff alla giovinezza del modenese, negli anni cinquanta a ridosso della Madonna col Bambino della parrocchiale di Lerma, è stata respinta da Giuliana Algeri (2008; 2011), che ne ha sottolineato i legami compositivi con le opere licenziate da Barnaba nel corso del settimo decennio del secolo, nelle quali ritorna più volte, con qualche variante, il Bambino che si tocca il piedino con la mano opposta. Nella Madonna Schiff è presentata una soluzione intermedia tra la tavola dello Städel di Francoforte (e quella gemella ma malconcia del Museo Civico d’Arte Antica di Torino) e un prototipo di Barnaba, oggi perduto, ma destinato a un luogo eminente, forse la loggia dei Banchi a Genova5, e perciò più volte replicato in tutta la Liguria. Questo motivo, la cui invenzione rimonta proprio a Barnaba, ebbe una fortuna duratura fin dentro il Quattrocento, quando, per il tramite di Taddeo di Bartolo e Andrea de Aste, fu rilanciato a Siena e nella Napoli durazzesca, ma anche in Lombardia grazie al Foppa (Madonna Berenson), quest’ultimo più volte ricordato in Liguria tra Genova e Savona6

[Emanuele Zappasodi]

Fig. 1. Barnaba da Modena, Madonna col Bambino. Rivoli, Fondazione F. F. Cerruti per l’Arte, stato dell’opera all’inizio del Novecento, Fototeca Berenson (inv. 124268), Villa I Tatti, Firenze.

1 Perkins 1916, p. 203.

2 De Marchi, in Importanti dipinti 2015, pp. 40, 41.

3 Si veda G. Algeri, in Algeri, De Floriani 2011, pp. 213-215.

4 Ibid., pp. 223, 226.

5 Ibid., pp. 219, 220.

6 De Marchi 1991, p. 129, nota 38; De Marchi, in Importanti dipinti 2015, pp. 40, 41.