Desastres de la guerra
Disastri della guerra
Francisco José de Goya y Lucientes
Madrid
1810-1815 (stampa 1863)
Acquaforte, aguada, acquatinta, puntasecca, bulino, brunitoio
275 x 350 x 52 mm
Inv. 0749
N. Catalogo A674
Provenienza
Esposizioni
Bibliografia
L’opera grafica di Francisco Goya rappresenta ancora oggi un punto di osservazione significativo per affrontare la sua complessa figura di artista, divisa tra l’ambizione di partecipare alle più alte sfere della società dell’epoca, esaudita divenendo pittore di corte al tempo di Carlo III di Spagna, e la profonda adesione agli ideali dell’Illuminismo e di un protoeuropeismo che andava sempre più diffondendosi nella cerchia intellettuale da lui frequentata. A tale dualismo si aggiunge la parziale indecifrabilità di molti suoi lavori che, benché espliciti in termini iconografici e tematici, sovente lasciano trasparire zone di ombra e ambiguità favorendo la profusione di diverse interpretazioni. Sull’insondabile fondamento del suo pensiero è stato costruito il mito delle sue incisioni, talvolta intese come espressione del genio tormentato e quindi coacervo dei suoi più reconditi e intimi pensieri, e di Goya quale precursore del Romanticismo e dell’artista contemporaneo, cui viene riconosciuto di aver messo in atto una riflessione su istanze quali l’autonomia dell’arte e la ricerca della libertà nelle dinamiche esistenti tra lo scenario pubblico e la dimensione privata1. Nelle sue opere appare quindi distintamente la messa in discussione dei valori della propria società, che prende la forma della critica al conservatorismo dilagante, inquadrato tra il conformismo imposto dagli organi dell’Inquisizione e l’esercizio del potere della monarchia, e la disillusione per il tradimento degli ideali dell’Illuminismo e gli eventi legati alla Guerra d’indipendenza spagnola (1808-1814). Benché un fondamento enigmatico, talvolta contraddittorio, emerga chiaramente anche dalla produzione eseguita entro la cornice delle committenze ufficiali, è soprattutto nelle opere grafiche e nelle serie pittoriche autonome, come nelle note Pinturas negras, che si esprime compiutamente la sua ricerca della libertà di espressione e la volontà di dare forma visibile, e quindi denunciare, le ingiustizie della propria epoca.
L’approccio di Goya con l’incisione risale al periodo della formazione, svolto presso l’atelier del pittore José Luzán y Martínez a Saragozza, e caratterizzato dallo studio dell’arte del disegno e dalla copia da stampe, seguito dal viaggio in Italia avvenuto tra il 1769 e il 1771. Si ritiene che in questo frangente egli abbia visto le stampe di Giambattista Piranesi e le copie dei grandi maestri, tra cui Raffaello e Tiziano; echi di questo viaggio si trovano nell’incisione La huida a Egipto (La fuga in Egitto) realizzata presumibilmente al ritorno in Spagna, ma sicuramente su disegni raccolti nel taccuino italiano2. Trasferitosi a Madrid l’anno seguente, dal 1778 riprodusse inoltre in incisioni opere pittoriche dell’ammirato Diego Velázquez, mentre lavorava presso la Real Fábrica de Tapices de Santa Barbára3.
La vicenda storica della Guerra d’indipendenza spagnola fa da scenario ai Desastres de la Guerra, serie concepita e realizzata in un periodo tumultuoso caratterizzato dalla deposizione di Carlo IV in favore del figlio Ferdinando VII, e dal passaggio del regno dei Borbone a quello di Giuseppe I Bonaparte nominato dal fratello Napoleone, regnante fino alla sua fuga e quindi al ritorno del «desiderato» Ferdinando nel 1813, mentre i sollevamenti della popolazione spagnola, divisa nella lotta o nel sostegno agli «invasori» francesi, assumevano le connotazioni di un conflitto fratricida. Composta originariamente da 82 stampe suddivise in tre gruppi, la serie fu realizzata in due esemplari dallo stesso Goya, che ne regalò uno corredato di tutte le fasi delle prove di stampa all’amico critico d’arte, collezionista e intellettuale illuminato Juan Agustín Ceán Bermúdez4. Le prime lastre sono state incise nel 1810, secondo indicazione autografa, ma la datazione di tutta la serie risulta ancora dubbia e si ritiene sia stata completata entro il 18155, quando era già stato ristabilito il potere repressivo di Ferdinando VII. Di conseguenza si può presumere che, memore delle pressioni subite all’uscita dei Caprichos, Goya scelse di non pubblicare l’opera. I disegni preparatori e le matrici furono quindi lasciate, assieme alle altre 18 della serie dei Disparates6, sotto il controllo del figlio Javier quando l’artista si trasferì a Bordeaux nel 1824, con la compagna Leocadia Zorrilla7. Il nucleo inedito di lavori era quindi stato preservato nella sua abitazione, la celebre Quinta del Sordo, dove l’artista aveva realizzato quell’insieme enigmatico di dipinti riuniti criticamente sotto il nome di Pinturas negras.
La prima pubblicazione dell’opera fu eseguita postuma nel 1863 dalla Real Academia de Bellas Artes de San Fernando di Madrid, dopo aver acquisito le lastre dei Desastres de la Guerra e dei Disparates dal collezionista Jaime Machén Casalins. Questa prima ristampa, realizzata con tiratura di 500 esemplari, presenta alcune differenze rispetto alla copia autografa regalata a Bermudéz, ad esempio la trasposizione su lastra dei titoli esplicativi al di sotto di ogni immagine, e oggi conservata presso il British Museum di Londra. Di questa edizione fa parte la serie nella Collezione Cerruti, la quale inoltre presenta la traduzione francese di ciascun titolo, secondo una volontà presumibilmente attribuibile al precedente collezionista Louis de Launay. Oltre a correzioni di elementi ritenuti errori di stampa e interpunzioni8, risulta particolarmente significativo il grado di pulizia della lastra in fase di stampa, eseguito secondo lo stile in voga alla metà dell’Ottocento che prevedeva una ripulitura minima dell’inchiostro, con il fine di rendere l’immagine molto atmosferica. Un’altra importante differenza riguarda il numero di incisioni, che per questa precisa edizione ammonta a 80 sulle 82 originarie, in quanto la n. 81 e la n. 82 non erano ancora note all’epoca della prima stampa9. In questa fase fu modificato il titolo, originariamente indicato da Goya come Fatales consequencias de la sangrienta Guerra en España con Buonaparte y otros caprichos enfaticos, en 85 estampas. Inventadas, dibuxadas y grabadas, por el pintor original D. Francisco de Goya y Lucientes. In Madrid. Solo nel 1863 diventò Desastres de la Guerra, secondo una scelta che attribuì all’intera serie il nome dato al primo gruppo dei tre che la compongono. La scoperta del titolo originale ha inoltre permesso di individuare l’origine del processo di elaborazione dei Desastres nei disegni a sanguigna realizzati nel 1808 a Saragozza, dove Goya si trovava su invito del generale Palafox con lo scopo di dipingere le rovine della città posta sotto assedio dai francesi10. Qui rimase due mesi assieme agli artisti Juan Gálvez e Ferdinando Brambilla, che dopo l’esperienza pubblicarono la raccolta Las ruinas de Zaragoza (Le rovine di Saragozza, 1812-1813), completamente in linea con i tòpoi della stampa spagnola dell’epoca. Le battaglie emblematiche, le rovine della città, vicine al senso del sublime terribile teorizzato da Edmund Burke, e i ritratti degli eroi seguivano un ideale di realismo e verosimiglianza atto ad avvalorare l’intento propagandistico e commemorativo del lavoro11. Da questo conformismo si distaccava Goya, interessato invece a mettere in atto un processo di sintesi stilistica, traslando l’attenzione dall’evento contingente alla violenza stessa12. Svaniscono le imponenti rovine sostituite da angoscianti primi piani sui corpi e i volti martoriati dalle sofferenze, in un crescendo di pietismo costruito su rimandi all’iconografia cristiana, resi però astratti, decontestualizzati e semplificati nelle forme. Esigui tratti neri risultano straordinariamente comunicativi nel manifestare gli orrori di ogni scenario bellico, cui partecipano tutte le istituzioni, civili e religiose, facendo sprofondare l’osservatore nello stato di allarme e terrore raccontato nelle stesse stampe. Tutti, illuminati o conservatori, sono uguali di fronte alle dinamiche della guerra e quindi alla morte13. Lo stile cambia registro nell’ultima parte della serie, che va dall’incisione n. 65 alla n. 82, composta dai Caprichos enfaticos nei quali Goya struttura quella che viene considerata una serrata critica alla monarchia assoluta di Ferdinando VII, recuperando l’uso del linguaggio allegorico già sperimentato nei Caprichos14.
Alessandra Franetovich
1 Tra le numerose pubblicazioni dedicate all’opera grafica di Goya: Sánchez Cantón 1949; Harris 1964; Lafuente Ferrari 1977; Glendinning 1978; V. Bozal, Los Caprichos: el mundo de la noche, in Francisco de Goya grabador 1992; Pérez Sánchez, Gallego 1994; C. Garrido Sanchez, La técnica goyesca de grabado, la otra imagen de Goya, in Congreso Internacional Goya 1996, pp. 183-195; Matilla 1999.
2 Di difficile datazione, si pensa che possa essere stata eseguita nel 1774 in occasione della nascita del primo figlio Antonio Juan Ramón y Carlos.
3 A partire dal 1775 Goya ha lavorato alla Real Fábrica de Tapices de Santa Barbára sotto la guida dell’allora direttore artistico Anton Raphael Mengs, realizzando cartoni per tappezzerie destinate ai palazzi reali. Già in queste opere, raffiguranti scene di intrattenimento, si può intravedere quell’interesse per la portata metaforica delle immagini che poi è stato sviluppato in maniera più consapevole nei Caprichos.
4 Wilson-Bareau 2016, p. 165.
5 Carrete Parrondo 2007, p. 27.
6 Per approfondire l’opera dei Disparates: Camón Aznar 1951; Carrete et al. 1996.
7 Bozal 1994.
8 Tra i cambiamenti, anche la modifica dell’iscrizione sulla tavola n. 69 e la lavorazione ad acquatinta non prevista sulla lastra n. 7 (Wilson-Bareau 2016, p. 171).
9 Le ultime due incisioni non erano state incluse nel gruppo dei Desastres de la Guerra posseduto da Jaime Machén Casalins, e vennero solo in seguito identificate dallo studioso francese Paul Lefort, cui si devono alcuni tra i primi studi sull’opera incisoria di Goya, e che ne era venuto direttamente in possesso. Lo stesso donò le due lastre mancanti alla Real Academia, in cambio di alcune edizioni di Goya, dopo che la sua proposta di vendita formulata nel gennaio del 1970 non fu accolta dall’istituzione (Wilson-Bareau 2016, pp. 171-172).
10 Canellas López 1981, p. 362.
11 Madrid 2008, pp. 259-260; Laf uente Ferrari 1952.
12 Mélida 1863, pp. 268-269.
13 Bozal 1994.
14 Wilson-Bareau 2016, p. 166.



