Caprichos

Capricci

Francisco José de Goya y Lucientes

Madrid

1816 c.
Acquatinta e acquaforte
334 x 227 x 45 mm


Inv. 0748
N. Catalogo A673


legatura moderna (2010) di Luciano Fagnola in marocchino nero con un disegno di Goya sul piatto anteriore

Bibliografia

La raccolta di «mostri verosimili», secondo la definizione data da Charles Baudelaire alle ingegnose e spaventose creature goyesche, proponeva riflessioni sulla stregoneria, la superstizione religiosa, la corruzione, lo sfruttamento sessuale, concentrandosi sui vizi e i mali diffusi nella società umana. 

 

L’opera grafica di Francisco Goya rappresenta ancora oggi un punto di osservazione significativo per affrontare la sua complessa figura di artista, divisa tra l’ambizione di partecipare alle più alte sfere della società dell’epoca, esaudita divenendo pittore di corte al tempo di Carlo III di Spagna, e la profonda adesione agli ideali dell’Illuminismo e di un protoeuropeismo che andava sempre più diffondendosi nella cerchia intellettuale da lui frequentata. A tale dualismo si aggiunge la parziale indecifrabilità di molti suoi lavori che, benché espliciti in termini iconografici e tematici, sovente lasciano trasparire zone di ombra e ambiguità favorendo la profusione di diverse interpretazioni. Sull’insondabile fondamento del suo pensiero è stato costruito il mito delle sue incisioni, talvolta intese come espressione del genio tormentato e quindi coacervo dei suoi più reconditi e intimi pensieri, e di Goya quale precursore del Romanticismo e dell’artista contemporaneo, cui viene riconosciuto di aver messo in atto una riflessione su istanze quali l’autonomia dell’arte e la ricerca della libertà nelle dinamiche esistenti tra lo scenario pubblico e la dimensione privata1. Nelle sue opere appare quindi distintamente la messa in discussione dei valori della propria società, che prende la forma della critica al conservatorismo dilagante, inquadrato tra il conformismo imposto dagli organi dell’Inquisizione e l’esercizio del potere della monarchia, e la disillusione per il tradimento degli ideali dell’Illuminismo e gli eventi legati alla Guerra d’indipendenza spagnola (1808-1814). Benché un fondamento enigmatico, talvolta contraddittorio, emerga chiaramente anche dalla produzione eseguita entro la cornice delle committenze ufficiali, è soprattutto nelle opere grafiche e nelle serie pittoriche autonome, come nelle note Pinturas negras, che si esprime compiutamente la sua ricerca della libertà di espressione e la volontà di dare forma visibile, e quindi denunciare, le ingiustizie della propria epoca. 

 

L’approccio di Goya con l’incisione risale al periodo della formazione, svolto presso l’atelier del pittore José Luzán y Martínez a Saragozza, e caratterizzato dallo studio dell’arte del disegno e dalla copia da stampe, seguito dal viaggio in Italia avvenuto tra il 1769 e il 1771. Si ritiene che in questo frangente egli abbia visto le stampe di Giambattista Piranesi e le copie dei grandi maestri, tra cui Raffaello e Tiziano; echi di questo viaggio si trovano nell’incisione La huida a Egipto (La fuga in Egitto) realizzata presumibilmente al ritorno in Spagna, ma sicuramente su disegni raccolti nel taccuino italiano2. Trasferitosi a Madrid l’anno seguente, dal 1778 riprodusse inoltre in incisioni opere pittoriche dell’ammirato Diego Velázquez, mentre lavorava presso la Real Fábrica de Tapices de Santa Barbára3

 

La prima produzione di rilievo con le tecniche calcografiche avvenne con la pubblicazione della serie Caprichos, annunciata su «Diario de Madrid» in data 6 febbraio 1799. Composta da 80 incisioni fortemente satiriche e allegoriche, attirò immediatamente l’attenzione dell’Inquisizione e fu prontamente ritirata dal mercato. La limitata diffusione dell’opera, di cui furono venduti pochi esemplari, ostacolò la conoscenza del lavoro che nel 1803 passò direttamente nelle mani di re Carlo IV tramite intercessione del nobile e politico Manuel Godoy, allora primo ministro della corte e persona molto vicina all’artista4. La raccolta di «mostri verosimili», secondo la definizione data da Charles Baudelaire alle ingegnose e spaventose creature goyesche, proponeva riflessioni sulla stregoneria, la superstizione religiosa, la corruzione, lo sfruttamento sessuale, concentrandosi sui vizi e i mali diffusi nella società umana. Al di sotto di ciascuna immagine figurano commenti, spesso modi di dire d’uso comune, con il valore di chiavi di lettura dal tono moraleggiante che, assieme all’apparato puramente visuale, partecipano a formulare un’operazione collocabile tra la riflessione ironica e distaccata sulla realtà contingente e l’apertura a una lettura universalista, anzi universale, dei temi proposti. Appare significativo che nell’annuncio si parlasse di fatti di invenzione, a rimarcare l’intenzione dell’artista di arginare possibili critiche; un’attenzione che trova un precedente nel frontespizio datato al 1797, poi scartato, in cui la serie era intitolata Idioma universal e le incisioni Sueños. Termini evanescenti, appartenenti piuttosto a un immaginario onirico, atemporale e dalle coordinate spaziali indefinibili. Il richiamo all’universalità e ai vizi dell’umanità conduce quindi all’insieme di suggestioni, incubi e rivelazioni di cui l’incisione El sueño de la razon produce monstruos (Il sogno della ragione genera mostri) risulta la perfetta sintesi.  

Alessandra Franetovich   

 

1 Tra le numerose pubblicazioni dedicate all’opera grafica di Goya: Sánchez Cantón 1949; Harris 1964; Lafuente Ferrari 1977; Glendinning 1978; V. Bozal, Los Caprichos: el mundo de la noche, in Francisco de Goya grabador 1992; Pérez Sánchez, Gallego 1994; C. Garrido Sanchez, La técnica goyesca de grabado, la otra imagen de Goya, in Congreso Internacional Goya 1996, pp. 183-195; Matilla 1999.

2 Di difficile datazione, si pensa che possa essere stata eseguita nel 1774 in occasione della nascita del primo figlio Antonio Juan Ramón y Carlos.

3 A partire dal 1775 Goya ha lavorato alla Real Fábrica de Tapices de Santa Barbára sotto la guida dell’allora direttore artistico Anton Raphael Mengs, realizzando cartoni per tappezzerie destinate ai palazzi reali. Già in queste opere, raffiguranti scene di intrattenimento, si può intravedere quell’interesse per la portata metaforica delle immagini che poi è stato sviluppato in maniera più consapevole nei Caprichos.

4 Wilson-Bareau 1981, p. 23.