Lo scialle rosa (Ritratto di giovane donna a mezzo busto) (La bella del Gabbro)

Silvestro Lega

1893-1894
Olio su tavola
34 x 29 cm
Anno di acquisizione 1986


Inv. 0225
N. Catalogo A215


Provenienza

Bibliografia

«Si direbbe che lo spirito del pittore voglia esprimersi col suo proprio soffio, riducendo al minimo la materia, mentre la pennellata si frappa, diventa più febbrile rotta e nervosa, così da sembrare a volte incerta e tremante». 

 

Lega giunse alla maturità artistica nei primi anni sessanta, quando, ritiratosi a lavorare a Piagentina, nella periferia di Firenze, si dedicò a temi di vita domestica risolti con il rigore analitico d’origine positivista, intessuti di una poesia vagamente malinconica; dipinti il cui tenore formale, memore della lezione purista del maestro Luigi Mussini, era frutto di riflessioni sull’arte del Quattrocento toscano, come mise in chiaro Diego Martelli a proposito del Canto dello stornello, eseguito nel 1867. Superata la crisi spirituale che seguì alla conclusione di quella straordinaria stagione pittorica e affettiva, l’artista evolse il proprio stile verso una maniera che attenua il meditato impianto compositivo, a favore di una stesura più mossa e palpitante; ne è un esempio il ritratto di Giuseppe Mazzini morente, tratto da appunti presi dal vero a Pisa nel marzo 1872. Da allora, Lega cominciò a dedicarsi con impegno al ritratto, genere che aveva trattato negli anni della giovinezza, ottenendo risultati che si distinguono per intensità emotiva e coinvolgimento psicologico, soprattutto quando gli effigiati erano artisti suoi amici, come nel caso di Francesco Gioli, di Arnold Böcklin, o di Rinaldo Carnielo. Nel corso degli anni ottanta, l’accelerazione della pennellata si fece sempre più esuberante, Mario Tinti la definì «concitata», e la cromia più cupa e drammatica qua e là ravvivata da note di rossi accesi, di verdi acerbi. È quella la maniera che connota i dipinti eseguiti al Gabbro, nella campagna livornese dove il pittore trascorse lunghi periodi nell’ultimo decennio di vita, alternando ai ritratti delle donne di casa Bandini Rosselmini le immagini delle popolane del luogo, spesso raffigurate a mezzo busto in una reiterazione del tema che suggerisce come il soggetto non fosse altro che un pretesto per la sperimentazione pittorica. Le sue ricerche, basate sull’uso del colore che si fa forma, divennero allora un modello da seguire per i giovani artisti fiorentini coinvolti nel rinnovamento dei linguaggi figurativi; per Plinio Nomellini e Angelo Torchi, soprattutto. 

Una conferma della volontà di Lega di vagliare le possibilità pittoriche di un medesimo tema negli anni in cui dipingeva le contadine del Gabbro è data dai due straordinari ritratti di donne ammantate di rosa da lui eseguiti a quel tempo, uno più drammatico, uno di più solenne ieraticità. In quest’ultimo, la purezza disegnativa, retaggio degli insegnamenti di Mussini, si coniuga mirabilmente ai palpiti di una pennellata a tocchi rapidi, smagliati, vibranti di luce, tutta giocata su una gamma variata di rosa, rialzati da minime note d’azzurro. Un’opera esemplificativa della maestria raggiunta dall’artista nell’elaborare figure sapientemente semplificate, ma emotivamente coinvolgenti, grazie al potere evocativo del colore che sempre più «si raffina, si spiritualizza», come notava Mario Tinti. A Tinti si deve anche il giudizio più penetrante riguardo a simili immagini nelle quali «si direbbe che lo spirito del pittore voglia esprimersi col suo proprio soffio, riducendo al minimo la materia, mentre la pennellata si frappa, diventa più febbrile rotta e nervosa, così da sembrare a volte incerta e tremante»1

Apparso sul mercato dell’arte alle soglie della Grande Guerra, e all’epoca entrato a far parte della raccolta di Mario Galli, il quadro tornò alla ribalta nel 1961 quando Mario Borgiotti lo riprodusse in I grandi pittori dell’Ottocento italiano, volume che, grazie alla selezione di opere poco note ma eccellenti, si sarebbe rivelato fondamentale per rinnovare l’interesse verso l’arte dei Macchiaioli, alimentandone il collezionismo negli anni del risveglio economico italiano. Il dipinto, acquistato presso il gallerista fiorentino Damiano Lapiccirella, è pervenuto nella raccolta Cerruti nel 1986. 

Silvestra Bietoletti 

 

1 Tinti 1923, p. 221.