Tauromaquia

Francisco José de Goya y Lucientes

Madrid

1814-1816
Acquaforte, acquatinta, punta secca, bulino, brunitoio
folio-oblungo


Inv. 0747
N. Catalogo A672


legatura moderna in marocchino rosso con il titolo mosaicato sul piatto anteriore

Raffigurando momenti salienti dello spettacolo della corrida, Goya ha scelto di ricreare una visione capace di rappresentare il dramma e l’atmosfera di tensione proprie dell’evento, preferendo l’aspetto emozionale rispetto a quello divulgativo e descrittivo [...].

 

L’opera grafica di Francisco Goya rappresenta ancora oggi un punto di osservazione significativo per affrontare la sua complessa figura di artista, divisa tra l’ambizione di partecipare alle più alte sfere della società dell’epoca, esaudita divenendo pittore di corte al tempo di Carlo III di Spagna, e la profonda adesione agli ideali dell’Illuminismo e di un protoeuropeismo che andava sempre più diffondendosi nella cerchia intellettuale da lui frequentata. A tale dualismo si aggiunge la parziale indecifrabilità di molti suoi lavori che, benché espliciti in termini iconografici e tematici, sovente lasciano trasparire zone di ombra e ambiguità favorendo la profusione di diverse interpretazioni. Sull’insondabile fondamento del suo pensiero è stato costruito il mito delle sue incisioni, talvolta intese come espressione del genio tormentato e quindi coacervo dei suoi più reconditi e intimi pensieri, e di Goya quale precursore del Romanticismo e dell’artista contemporaneo, cui viene riconosciuto di aver messo in atto una riflessione su istanze quali l’autonomia dell’arte e la ricerca della libertà nelle dinamiche esistenti tra lo scenario pubblico e la dimensione privata1. Nelle sue opere appare quindi distintamente la messa in discussione dei valori della propria società, che prende la forma della critica al conservatorismo dilagante, inquadrato tra il conformismo imposto dagli organi dell’Inquisizione e l’esercizio del potere della monarchia, e la disillusione per il tradimento degli ideali dell’Illuminismo e gli eventi legati alla Guerra d’indipendenza spagnola (1808-1814). Benché un fondamento enigmatico, talvolta contraddittorio, emerga chiaramente anche dalla produzione eseguita entro la cornice delle committenze ufficiali, è soprattutto nelle opere grafiche e nelle serie pittoriche autonome, come nelle note Pinturas negras, che si esprime compiutamente la sua ricerca della libertà di espressione e la volontà di dare forma visibile, e quindi denunciare, le ingiustizie della propria epoca. 

 

L’approccio di Goya con l’incisione risale al periodo della formazione, svolto presso l’atelier del pittore José Luzán y Martínez a Saragozza, e caratterizzato dallo studio dell’arte del disegno e dalla copia da stampe, seguito dal viaggio in Italia avvenuto tra il 1769 e il 1771. Si ritiene che in questo frangente egli abbia visto le stampe di Giambattista Piranesi e le copie dei grandi maestri, tra cui Raffaello e Tiziano; echi di questo viaggio si trovano nell’incisione La huida a Egipto (La fuga in Egitto) realizzata presumibilmente al ritorno in Spagna, ma sicuramente su disegni raccolti nel taccuino italiano2. Trasferitosi a Madrid l’anno seguente, dal 1778 riprodusse inoltre in incisioni opere pittoriche dell’ammirato Diego Velázquez, mentre lavorava presso la Real Fábrica de Tapices de Santa Barbára3

 

Tra 1814 e 1816 Goya lavorò alle 33 lastre che compongono la serie Tauromaquia, una delle due sole edizioni delle incisioni di Goya a essere pubblicate mentre era ancora in vita, e l’unica a essere circolata senza restrizioni4. Realizzata in un periodo in cui l’artista non riceveva più committenze ufficiali dalla corte, parrebbe pensata come prodotto per uno specifico e già esistente mercato nazionale. Dedicata a un evento tradizionale e popolare, quale lo spettacolo tra toro e toreador, l’edizione poteva quindi risultare più adatta ad affacciarsi su un mercato diffuso e favorevole al pubblico comune, che acquistava con regolarità stampe. Tuttavia non sono mancate interpretazioni critiche che hanno intravisto altre possibili letture della serie, associando vincitore e vinti a figure storiche5, così come a una potenziale raffigurazione della violenza insita nell’abitudine a rendere un evento che celebra la morte dell’animale o, molto più raramente, dell’uomo, un vero e proprio spettacolo di intrattenimento6. Una dinamica della lotta per la sopravvivenza che Goya doveva conoscere bene per la passione provata per la caccia, e di cui scrive nelle lettere all’amico Martín Zapater. 

Raffigurando momenti salienti dello spettacolo della corrida, Goya ha scelto di ricreare una visione capace di rappresentare il dramma e l’atmosfera di tensione proprie dell’evento, preferendo l’aspetto emozionale rispetto a quello divulgativo e descrittivo, cui ricorrevano invece incisori e artisti dell’epoca, come nel caso delle incisioni di Antonio Carnicero pubblicate tra 1787 e 1790, e divenute presto un modello7. Assieme a queste fonti visuali, circolavano in Spagna anche testi sul tema, tra cui Carta histórica sobre el origen y progresos de las fiestas de toros en España (1777) del poeta Nicolás de Moratín, il cui figlio Leandro era amico di Goya, e il volume Tauromaquia ó arte de torear (1796), pubblicato sotto il nome di Josef Delgado, toreador noto come Pepe- Hillo, cui è dedicata l’ultima lastra della serie di Goya. Un’immagine profondamente toccante, dove lo spazio è inondato da una luce chiarissima interrotta dal dirompente e oscuro corpo del toro, rivolto a terra mentre esercita la sua forza animale contro il corpo del torero morente. Alcuni uomini corrono in suo soccorso saltando le barriere che distanziano l’arena dagli spalti, contribuendo a dare un movimento, seppur minimo, a un fermo-immagine glaciale, riferimento alla morte stessa di Pepe-Hillo, colpito a morte dal toro Barbudo nel 1801 a Madrid8.  

Alessandra Franetovich 

 

1 Tra le numerose pubblicazioni dedicate all’opera grafica di Goya: Sánchez Cantón 1949; Harris 1964; Lafuente Ferrari 1977; Glendinning 1978; V. Bozal, Los Caprichos: el mundo de la noche, in Francisco de Goya grabador 1992; Pérez Sánchez, Gallego 1994; C. Garrido Sanchez, La técnica goyesca de grabado, la otra imagen de Goya, in Congreso Internacional Goya 1996, pp. 183-195; Matilla 1999.

2 Di difficile datazione, si pensa che possa essere stata eseguita nel 1774 in occasione della nascita del primo figlio Antonio Juan Ramón y Carlos.

3 A partire dal 1775 Goya ha lavorato alla Real Fábrica de Tapices de Santa Barbára sotto la guida dell’allora direttore artistico Anton Raphael Mengs, realizzando cartoni per tappezzerie destinate ai palazzi reali. Già in queste opere, raffiguranti scene di intrattenimento, si può intravedere quell’interesse per la portata metaforica delle immagini che poi è stato sviluppato in maniera più consapevole nei Caprichos

4 Ibid., p. 15.

5 Lafuente Ferrari 2007, pp. 43-123.

6 Matilla, Medrano 2001.

7 Sul tema si veda il catalogo della mostra Goya y Carnicero (Madrid, Fundación Cultural Mapfre Vida, 30 giugno - 4 settembre 2005), Madrid.

8 Wilson-Bareau 2016, pp. 219-224.