Le plus libre

Il più libero

Roberto Sebastián Matta

1952
Olio su tela
101,5 x 130 cm
Anno di acquisizione ante 1993


Inv. 0925
N. Catalogo E66


Provenienza

Esposizioni

«Voglio mostrare le contraddizioni della materia, mostrare che il mondo è fatto dai movimenti generati da ogni essere che cerca di appropriarsi di ciò che non è, di identificarsi con il contrario.»

 

Il continuo peregrinare tra Europa e Stati Uniti, dopo l’infanzia cilena. L’esordio da architetto nello studio parigino di Le Corbusier, presto rinnegato per affrontare la «quarta dimensione» sulla tela. L’adesione appena ventiseienne al Surrealismo, tramite Salvador Dalí, al quale fu introdotto da una lettera di Federico García Lorca. La suggestione verso le geometrie non euclidee, stimolata dal Tertium Organum di Pëtr D. Ouspensky come dalle teorie matematiche di Jules Henri Poincaré. Già nel sintetico profilo di Roberto Sebastián Matta avvertiamo l’intensità della sua vicenda umana e professionale. Pur rimanendo fedele alla tecnica dell’automatismo adottata nella Parigi di fine anni trenta, in oltre sei decadi di attività egli ha mutato più volte linguaggio, ampliato i temi di indagine, sostituito le «morfologie psicologiche» con le «morfologie sociali». Nel 1948 venne espulso dal movimento di André Breton per «dequalificazione intellettuale e ignominia morale». Alla base della decisione stava il sospetto che la sua liason con la moglie di Arshile Gorky avesse contribuito al suicidio dell’artista. 

Dopo un decennio newyorkese nel quale aveva influito sugli esiti della nuova generazione astratta, nel 1949 Matta approdò in Italia. L’ambiente romano denso di fermenti sociali lo stimolò ad affrontare fatti di cronaca dalle marcate ricadute politiche: Le roses sont belles (Le rose sono belle, 1951-1952) è infatti ispirato al processo dei coniugi Rosenberg che aveva agitato l’intera classe intellettuale, italiana e internazionale. Accusati di spionaggio filosovietico, Julius ed Ethel Rosenberg furono sottoposti a una detenzione culminata nel giugno 1953 con l’esecuzione capitale. Proprio lo strumento che ne aveva provocato la morte, la sedia elettrica, torna con assiduità nei successivi lavori di Matta. I quali, peraltro, sono sempre più dominati da un immaginario atomico non privo di affinità con la corrente nucleare. Durante il soggiorno romano nacquero anche le opere più note dell’artista, dai titoli giocati sull’assonanza o la contraddizione e popolate da creature mostruose, allegoria di pulsioni recondite in perpetuo contrasto tra loro. Realizzata nel 1952, anche la tela in Collezione Cerruti appartiene a tale insieme. Una inerme figura primordiale è stesa al suolo: gli arti gettati all’esterno in segno di resa e le fauci spalancate in una smorfia di dolore ne suggeriscono la fine imminente. Lo sconfitto, privo di obblighi e legami, diventa allora Le plus libre. Il tono apocalittico della scena viene accentuato dalle stesure fluide e dal cangiantismo dei colori: sembra di osservarla filtrata da uno specchio d’acqua. 

Lo stesso Matta ha precisato il significato di galassie parallele in cui «le leggi “del gioco” sono quelle di una morfologia che mostri l’uomo nel mondo e il mondo nell’uomo»1

Presentando quindici lavori recenti alla Sala Napoleonica di Venezia nel 1953, egli confessò infatti ad Alain Jouffroy: 

«Voglio mostrare le contraddizioni della materia, mostrare che il mondo è fatto dai movimenti generati da ogni essere che cerca di appropriarsi di ciò che non è, di identificarsi con il contrario. [...] io voglio mostrare la realtà e ciò che la contraddice in noi, la vita interiore e i suoi conflitti con il mondo esteriore, ciò che separa l’Io profondo dal Me manifesto, questo uragano di dubbi che portiamo nelle nostre teste e questa evidenza materiale con la quale li confrontiamo senza posa»2

Rimasta a lungo a New York, Le plus libre arrivò in Italia a fine 1970, forse direttamente alla torinese Galleria Gissi che il ragioniere doveva considerare un porto sicuro per i propri acquisti. Allo stato delle conoscenze attuali, prima di allora l’opera appartenne solo alla Cordier & Ekstrom Gallery, dove Matta allestì una personale nel 1963. Daniel Cordier, socio parigino di Arne Ekstrom, seguiva il percorso dell’artista sin dal 1956, quando ne espose i lavori con quelli di Jean Dubuffet e Jean Dewasne. Da allora furono oltre una decina le personali e collettive di Matta nelle sedi Cordier tra Europa e Stati Uniti. È quindi plausibile sia stato proprio grazie al tramite di Cordier che Le plus libre giunse a New York. 

Chiara Perin 

 

1 R. S. Matta, in Venezia 1953, p. 4. 

2 Ibid., pp. 4-6.