La contadina (La madre)

Arturo Martini

1926
Terracotta patinata
37 x 20,5 x 23 cm
Anno di acquisizione 2003


Inv. 0146
N. Catalogo A139


Provenienza

Esposizioni

Bibliografia

«Nel trasferimento che il Martini opera dei corpi e delle loro azioni, io vedo i modi esagerati di un Barlack [sic], di un Maillol e di un Mestrovic, che è poi il modo di tutti gli artisti decadenti ed a fondo intellettualistico».

 

Arturo Martini modella questa scultura nel 1926 ad Anticoli Corrado (Roma), dove si trova da un paio di anni: le lettere alla moglie raccontano da un lato l’incanto arcaico del luogo e della vita contadina, dall’altro la rapida insofferenza per le difficili condizioni di lavoro e la penuria di denaro almeno fino al 1927. In margine al lavoro per il gravoso contratto con lo scultore americano Maurice Sterne e per gli invii alle esposizioni nazionali di Roma, Venezia e Milano, Martini modella tra 1924 e 1926 alcune piccole sculture in terracotta, accomunate dai soggetti anticolani e da una marcata vena narrativa1. Un gruppo di queste opere è riprodotto e commentato nel 1926 da Carlo Carrà, con una certa diffidenza per il loro «carattere intellettualistico ed estetizzante», dipendente da precise fonti d’oltralpe: «Nel trasferimento che il Martini opera dei corpi e delle loro azioni, io vedo i modi esagerati di un Barlack [sic], di un Maillol e di un Mestrovic, che è poi il modo di tutti gli artisti decadenti ed a fondo intellettualistico»2

In occasione della prima pubblicazione della Contadina in un articolo uscito poco dopo la morte dell’artista, è forse proprio la sua sintesi «romanica» e barlachiana a suggerire di datarla al 1920, cioè al periodo in cui Martini era rappresentante in scultura del gruppo di Valori Plastici. L’anonimo autore dell’articolo, che Elena Pontiggia ipotizza possa essere Leonardo Borgese, presenta la scultura come «una delle primissime creazioni del Martini» in terracotta, con l’arbitrario titolo La madre3. La prima fotografia dell’opera (fig. 1) è eseguita dal milanese Attilio Bacci, che in quegli anni collabora direttamente con scultori contemporanei come Giacomo Manzù. L’opera si trova in quel momento presso la collezione di Gigiotti Zanini: la duratura amicizia con il pittore e architetto tirolese, nata forse già negli anni di Ca’ Pesaro, si rinsalda tra anni trenta e quaranta quando entrambi risiedono a Milano a ridosso della guerra4

Nel 1966 Guido Perocco, che registra l’opera nella collezione degli eredi Zanini a Venezia, la colloca al 1924 e con questa data la terracotta farà parte delle mostre di grande riscoperta europea di Martini degli anni ottanta, prima di essere riportata al 1926 nel catalogo generale del 1998. Nel frattempo l’opera era passata alla collezione milanese di Claudia Gian Ferrari, da cui Cerruti la acquista nella primavera del 2003. 

Filippo Bosco 

 

1 Martini sembra annunciarle già nella primavera del 1925: «Ora ho iniziato una serie di terrecotte piccole di soggetto vario e siccome la fantasia mi regge non voglio smettere questo lavoro [...] pensa che in pochi giorni ne ho già fatte dieci e sono belle» (lettera di A. Martini alla moglie, [primi di marzo] 1925, in Le lettere di Arturo Martini 1992, p. 114).

2 Carrà C. 1926a, p. 13.

3 Forse riferendosi al fatto che la madre di Martini era morta proprio nel 1920, l’autore afferma: «Abbiamo intitolato [questa scultura, N.d.R.] La madre in omaggio alla mamma dell’artista, che noi immaginiamo così, rammentando la descrizione che l’artista medesimo spesso ce ne fece» (B. 1947, p. 6).

4 Il ricordo affettuoso degli anni di Ca’ Pesaro traspare dalle lettere degli ultimi anni di Martini, quando risiede a Venezia per l’insegnamento all’Accademia: «[...] sono certo che quietati i rumori e gli interessi la pagina più autentica dell’arte italiana è ancora quella di Ca’ Pesaro. La santità di quel tempo è tanto immacolata e autentica che sento dopo tanto lavoro e maturità il bisogno di riferirmi anche ora, per veder giusto, a quel tempo» (lettera di A. Martini a N. Barbantini del 24 agosto 1944, in Le lettere di Arturo Martini 1992, p. 249). Zanini è ricordato solo una volta con i colleghi trentini Tullio Garbari e Benvenuto Disertori: «Io sono stato amico di tutti e tre e non da un giorno, ma ho assistito al loro sviluppo e conversato per anni» (lettera di A. Martini a S. Branzi, 4 giugno 1945, ibid., p. 261).

Fig. 1. A. Martini, La contadina, 1926, fotografia di Attilio Bacci, in Bontempelli 1948, tav. IV.