Le Duo (Il duo)

René Magritte

1928
Olio su tela
54 x 73 cm
66 x 85 x 7 cm
Anno di acquisizione 1972-1983


N. Catalogo A130
Inv. 0137


Provenienza

Esposizioni

Bibliografia

«Le composizioni più stravaganti, insolite hanno una loro prepotente oggettività, una calma senza oscillamenti né di emozioni né di illuminazioni: la calma delle cose che sono già accadute».

(Luigi Carluccio, 1962)

 

Il belga René François Ghislain Magritte, le saboteur tranquille come fu soprannominato, scelse, più di ogni altro pittore surrealista, di mettere in discussione le consolidate tecniche di osservazione e rappresentazione del reale. Chi tenti di interpretarne i dipinti, a un primo sguardo accurati prelievi del mondo esteriore, finisce per cadere nellemaglie di un mistero indefinibile, in cui, come scrisse Luigi Carluccio, acuto interprete dell’opera di Magritte e per un periodo proprietario del dipinto Le Duo, «le composizioni più stravaganti, insolite hanno una loro prepotente oggettività, una calma senza oscillamenti né di emozioni né di illuminazioni: la calma delle cose che sono già accadute»2.

Dopo le iniziali vicinanze a Cubismo e Futurismo, Magritte comprese il fondamento intellettuale del linguaggio pittorico al cospetto dei dipinti metafisici di Giorgio de Chirico. Nelle idee del giovane artista, la pittura abbandonava così lo statuto di creatrice di immagini e abbracciava quello, più stimolante, di messa in forma del pensiero. L’effetto straniante, frutto della contrapposizione tra leggibilità dell’immagine e assurdità delle reciproche relazioni interne, divenne la cifra espressiva di Magritte, la quale, tuttavia, diversamente da quanto avvenne in de Chirico, non trovava appoggio nell’esperienza vissuta dall’artista, ma si faceva piuttosto discorso impersonale sulla natura del linguaggio pittorico e sulla sua irrimediabile alterità rispetto al mondo visibile.

Dopo una fase di militanza dadaista, condotta a fianco dell’amico, compositore, scrittore e artista Edouard Léon Théodore Mesens, primo proprietario del dipinto ora in Collezione Cerruti, Magritte fu presto attratto nell’orbita del nascente Surrealismo belga, di cui il poeta Paul Nougé era il principale teorico. Fu Nougé a incoraggiare, nel 1927, il trasferimento del pittore a Parigi, proprio nel momento in cui la comunità surrealista era scossa da dibattute aspirazioni all’impegno politico (in quell’anno si rendevano disponibili le edizioni francesi degli scritti di Lev Trockij, e André Breton, Louis Aragon e Paul Eluard aderivano al Partito comunista). Sostenuto dalla fitta rete di relazioni, anche commerciali, che aveva tessuto in patria3, Magritte, durante il soggiorno nella capitale francese (1927-1930), continuò ad affrontare la questione dei paradossi suscitati dall’illusionismo del linguaggio pittorico, alla quale si aggiunse presto quella relativa ai complessi rapporti che legano parola, immagine e realtà.

 

I quadri di parole si ponevano come lucidi e freddi esiti della crisi che aveva investito il linguaggio tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, da Ferdinand de Saussure a Hugo von Hoffmansthal, da Lautrémont ad Arthur Rimbaud e Alfred Jarry.

 

L’approdare dell’artista ai quadri di parole, se fu, da un lato, il frutto di un crescente coinvolgimento nel gruppo surrealista parigino, dall’altro si configurò come ideale prosecuzione della recente collaborazione con Nougé. Pubblicato a Bruxelles nel 1927, Quelques écrits et quelques dessins de Clarisse Juranville, parodia di un popolare manuale di grammatica del XIX secolo, era, infatti, il frutto di un lavoro a quattro mani con il poeta belga e il preludio alla cospicua serie di quadri di parole del periodo parigino. Tra questi, il celeberrimo La Trahison des images (1929, Los Angeles County Museum of Art) è una tavola di corrispondenze ingrandita in cui didascalia («Ceci n’est pas une pipe») e immagine (una pipa) si contraddicono vicendevolmente. Il dipinto avrebbe infiammato di entusiasmo il filosofo francese Michel Foucault, che aveva l’intuizione di leggervi la dissoluzione di un calligramma4, e sarebbe divenuto un punto di partenza imprescindibile per gli approcci estetici concettuali della seconda metà del secolo.

I quadri di parole si ponevano come lucidi e freddi esiti della crisi che aveva investito il linguaggio tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, da Ferdinand de Saussure a Hugo von Hoffmansthal, da Lautrémont ad Arthur Rimbaud e Alfred Jarry. Un loro compendio era pubblicato dall’artista sulle pagine della «Révolution surréaliste», nel dicembre 1929, con il titolo Les mots et les images. Una sequenza di 18 vignette metteva in scena una casistica esemplificativa di ciò che accade quando i linguaggi iconico e verbale si confrontano con la realtà: se parole e immagini sono fatte della stessa sostanza e possono sostituirsi le une alle altre, senza deviare il significato della rappresentazione o dell’enunciato verbale, rimane, tuttavia, accertata la loro incapacità di fare presa sulle cose e sui fatti del mondo5.

Come mostra la tela in Collezione Cerruti, smascherata la corrispondenza biunivoca tra linguaggi umani e mondo esteriore, il segno è finalmente autonomo, libero da ogni vincolo, aperto alla consapevolezza di una dimensione irrazionale, legata all’esplorazione dei paradossi e delle incongruità della mente. È così che di fronte a un drammatico cielo rossastro si può stagliare, con fierezza, il duetto che dà il titolo alla tela: una forma biomorfica, dai bordi metallici inspessiti, che reca la parola «fusil»6, e uno strano arnese che all’apparenza parrebbe un arredo da toeletta, privato di brocca e catino. La scena è muta: il silenzio è rotto soltanto dal titolo della composizione, forse un’allusione musicale a una coppia di esecutori vocali o strumentali7. La consistenza fisica dei due protagonisti, all’apparenza forme incoerenti, è rivendicata dalla solidità con cui poggiano sullo scabro terreno lunare e dalle ombre scure che si distendono da sinistra verso destra.

Non è difficile immaginare quali interessi potessero portare Francesco Federico Cerruti all’acquisto del dipinto, probabilmente il 1972 e il 19838. In primo luogo, l’amore per l’avanguardia surrealista; non secondariamente, il pedigree della tela, appartenuta a Mesens e a Carluccio9, e comparsa in alcune tra le più importanti rassegne dedicate al pittore belga; non da ultimo, il fascino esercitato da un’opera che, sondando i limiti e le contraddizioni del linguaggio verbo-visuale, costituiva un imprescindibile termine di confronto con la preziosa raccolta di libri e legature che il ragioniere stava riunendo.

[Fabio Cafagna]

 

 

1 Ringrazio Simon Crameri della Fondation Beyeler di Basilea, che, sulla base dell’etichetta «Galerie Beyeler Basel n. 2325 K» presente sul telaio del dipinto, mi ha fornito l’indicazione del passaggio dell’opera presso il mercante Harold Diamond.

2 L. Carluccio, in Torino 1962c, ripubblicato in Carluccio 1983, p. 181, 182.

3 Sylvester 1992, pp. 158 e sgg.

4 Foucault 1988.

5 Menna 1975, n. 23, p.n.n.

6 Una forma analoga compare in un’altra opera dello stesso anno, L’apparition (Stoccarda, Staatsgalerie), riprodotta al n. 220 di Sylvester, Whitfield, Raeburn 1992-2012, vol. I, p. 273.

7 Sui titoli delle opere di Magritte si legga il testo della conferenza che l’artista tenne il 20 novembre 1938 al Musée Royal des Beaux-Arts di Anversa, pubblicato in Magritte 1979, pp. 91-104, in part. p. 100.

8 L’opera, tuttavia, non è registrata nell’Inventario dei mobili, dipinti, sculture, argenti, tappeti, maioliche, porcellane e oggetti d’arte del 30-06-1993 (Archivio Collezione Cerruti).

9 Altre due opere della Collezione Cerruti appartennero a Carluccio: Scherzo: uova di Felice Casorati (1914 c.) e Il risveglio della bionda sirena di Scipione (1929).