Hermes (già Ostara)
Günter Haese
1986-1990
Ottone e bronzo fosforoso
60,5 x 51,5 x 8,2 cm
Anno di acquisizione 2006
Inv. 0877
N. Catalogo E25
Provenienza
Esposizioni
«[...] la relazione di Haese con Klee è il senso della scoperta. Egli libera i poteri segreti di un serbatoio non sfruttato, colmo di energie vibranti».
Pittore e disegnatore autodidatta, Günter Haese indaga, fin dagli esordi della sua carriera artistica, le molteplici forme della natura, generando un universo estetico unico e personale. Animato da una profonda curiosità intellettiva, conduce la sua pratica attraverso i diversi campi della conoscenza, dai teoremi cibernetici alle strutture cellulari.
Si forma negli anni cinquanta alla Kunstakademie di Düsseldorf con il pittore Bruno Goller e lo scultore Ewald Mataré, con il quale collabora per la realizzazione dei monumentali portali bronzei della Cattedrale di Colonia. Mosso da un primordiale interesse per la pittura, Haese non si focalizza sui canoni pittorici e scultorei convenzionali, ma predilige il processo costitutivo dell’opera, l’intenzione dell’homo faber, utilizzando strumenti essenziali quali la morsa, la fiamma ossidrica, la pinza e il ferro angolare1.
È nel 1962 che inizia a impiegare filo di ottone con molle e ingranaggi di orologi smontati come componenti per le sue sculture. Affascinato da piccole rotelle, bilancieri e minuscoli congegni a scatto, Haese prova a collocarli, in un primo momento, su una superficie piana, tracciandone bordi e spirali e creando suggestivi monotipi. Successivamente forma strutture delicate, leggere e oscillanti, a evocare le costruzioni astratte e i simboli calligrafici di Paul Klee, suo riferimento spirituale. Si rivela, infatti, significativo il legame ideale tra i due artisti: «[...] la relazione di Haese con Klee è il senso della scoperta. Egli libera i poteri segreti di un serbatoio non sfruttato, colmo di energie vibranti»2.
Nel 1964 realizza la sua prima mostra personale di «oggetti metallici» al Museo di Ulm. La proposta espositiva suscita una così larga attenzione della critica che nello stesso anno Haese è invitato a presentare i suoi lavori in un progetto personale al Museum of Modern Art di New York. Sempre nel 1964, forte del successo oltreoceano, torna a Kassel per partecipare a Documenta III.
È, invece, del 1966 il privilegio di rappresentare la Germania alla Biennale di Venezia. Con l’intento di esplorare attraverso il movimento e il controllo del peso, le leggi dell’equilibrio, l’artista tedesco genera «una tremula mobilità di elementi fragili e sottili, una trasparenza di gesti [...] un vibrare di antenne [...]»3. Nel tempo le plasticità bizzarre dei primi anni sessanta lasciano il posto a forme di base delicatamente organizzate, come cerchi, archi e rettangoli. In esse, anche l’interno, esile e mobile, è costruito densamente e composto da minuterie interconnesse in modo ritmicamente dinamico. Un intreccio di maglie e prospettive, disciplinate da modularità geometriche che suggeriscono la musicalità e la sensualità degli esseri viventi, pur senza alcun impulso meccanico: «Non sono un artista cinetico. Il movimento generato meccanicamente in un’opera d’arte non si è finora adattato al mio concetto. I miei oggetti, muovendosi, ritornano sempre alla loro forma originale. Esiste un modulo di base, che è nuovamente visibile dopo determinati intervalli»4. Alcuni tratti compositivi dell’opera di Haese si ritrovano nella ricerca di Fausto Melotti5, scultore di fama internazionale, tra i più rilevanti del Novecento, che così si esprime:
«[...] I tre parametri sui quali si può misurare la vita di una scultura sono: l’invenzione plastica, il concetto di sintesi e il concetto musicale. Se uno di essi è in difetto, la scultura è in difetto. [...] L’ambiguità come aspetto della melanconia è componente qualificante dell’opera [...] Poche volte presente in Kandinsky, essa lo è sempre in Klee e lo avvalora. [...] La libertà metafisica determina, definisce l’opera d’arte»6.
Così accade per Hermes (già Ostara), l’opera di Haese in Collezione Cerruti, esemplare maturo nella produzione scultorea dell’artista: un oggetto dall’aspetto biomorfico, nel quale forme geometriche diverse si incastrano a creare un corpo chiuso. Anche la giocosa corrispondenza tra titolo e composizione lascia spazio allo spettatore a molteplici suggestioni immaginifiche e nuove scoperte7.
Già nel corso degli anni settanta Haese aveva realizzato «oggetti grafici» piuttosto affini per composizione e impatto estetico come Yama (1973, fig. 1), esposta nel 1975, nella mostra personale dell’artista presso la prestigiosa Marlborough Gallery di New York, e Minerva (1978), allestita nel 1979 negli spazi della Albrecht Dürer Gesellschaft di Norimberga per la proposta espositiva «Raumgrafiken».
A partire da quel momento l’artista sviluppa un accentuato interesse verso un ideale pantheon di divinità, spunto per l’esecuzione di nuove sculture, i cui titoli evocano arcaiche figure mitologiche come, appunto, Yama, la deità preposta al controllo e al trapasso delle anime da un mondo all’altro, o Minerva, dea italica, in origine protettrice di ogni forma di operosità artigiana e industriale. L’opera in collezione si innesta in questa direzione di ricerca. Ermes, divinità protettrice dei viandanti, che dispensa dai pericoli e Ostara (Eostre, in tedesco arcaico), antico dio nordico che incarna il rinnovarsi della vita, si fondono in questa scultura, nella quale oscillanti elementi astratti diffondono un’energica spinta vitale, di melottiana memoria, probabilmente la stessa che ha attratto Francesco Federico Cerruti.
Il collezionista acquisisce l’opera nel 2006, presso il gallerista Raimund Thomas di Monaco di Baviera, in occasione della mostra personale «Günter Haese. Kinetische Objekte», ospitata in galleria nella primavera di quell’anno. Un legame, anche personale, sancito dalla dedica a Francesco Cerruti che, proprio in quell’aprile, Haese scrive sul frontespizio di una copia del catalogo ragionato Günter Haese. Verzeichnis der Skulpturen, oggi custodito nell’archivio della collezione.
Elena Inchingolo
1 Monaco di Baviera 2019, p. 14.
2 New York 1975, p. 9 («Haese’s relashionship to Klee is the discovery’s. He has unlocked the secret powers of an untapped reservoir full of vibrant energies», trad. dell’autrice).
3 Venezia 1966b, p.n.n.
4 Monaco di Baviera 2019, p. 70 («I am not a kinetic artist. Mechanically generated movement in an artwork has not fit into my concept so far. The movements of my objects always return to their original form. There must be a basic form, and it must become visible again after certain intervals», trad. dell’autrice).
5 Come Haese, Melotti nel 1966 partecipò alla XXXIII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, nell’ambito però della sezione «Aspetti del primo astrattismo italiano. Milano-Como 1930-1940», a cura di Umbro Apollonio.
6 Melotti 1981, pp. 48, 49, 57.
7 Monaco di Baviera 2019, p. 10.
Fig. 1. G. Haese, Yama, 1973, ottone e bronzo fosforoso, copertina del catalogo della mostra «Günter Haese», 11 ottobre - 1° novembre 1975, New York, Marlborough Gallery.

