Giroscopio. Studio

Arnaldo Pomodoro

1986
Bronzo e ferro
diametro 56 cm
Anno di acquisizione 2000


Inv. 0164
N. Catalogo A157


Provenienza

Esposizioni

Bibliografia

«le sculture di Pomodoro hanno il dono di registrare lo spazio come le pendole il tempo: come un fabbricante di astrolabi e meridiane è sempre in cerca del posto giusto dove collocare i suoi registratori-trasformatori». 

 

Affermatosi a livello internazionale fra i maestri della scultura italiana del secondo dopoguerra, negli anni ottanta Arnaldo Pomodoro si trova in un momento di ricapitolazione della sua carriera, segnato da grandi mostre come la retrospettiva tenutasi al Forte Belvedere di Firenze nel 1986 e presentata da un testo di Giulio Carlo Argan. Tirata in nove esemplari più una prova d’artista (fra cui l’opera in Collezione Cerruti, acquistata in asta da Finarte nel 2000), Giroscopio. Studio è versione preparatoria di Giroscopio I1: una scultura molto più grande (diametro 380 cm) realizzata in quattro esemplari fra 1986 e 1987 di cui uno collocato presso l’Ambasciata d’Italia a Tokyo. Lo stesso motivo verrà ripreso, dieci anni più tardi, in due sculture di piccole dimensioni (diametro 25 e 45 cm)2, poi ancora in un’opera del 2002, in cui però la composizione sarà ridotta a una semplice lastra su cui è impresso a rilievo il simbolo della nuova moneta della Comunità Europea, l’Euro, appena entrata in circolazione3

In tutte queste circostanze, Pomodoro si è rifatto alla struttura di una figura geometrica desunta da un dispositivo fisico, il giroscopio, immaginando una scultura ingabbiata dentro un doppio cerchio di metallo, entro cui ha inserito un rilievo circolare come una grande medaglia spezzata in due metà rotanti intorno a un asse fisso. In questo modo al fruitore è consentito mutare l’assetto della scultura e variare la combinazione delle due semi-facce a rilievo. Su queste, infatti, si ritrova il repertorio di segni cuneiformi tipico della scultura di Pomodoro, che trasforma il piano in una sorta di spazio cosmico da cui, rompendo la superficie come una crosta lunare, affiorano solidi geometrici come la sfera e il cubo: un movimento opposto rispetto alle profonde fratture scure che caratterizzavano le sue sfere e colonne del decennio precedente. In questo modo l’artista complica, nella struttura, il tema del disco messo a punto negli anni settanta in forme monumentali, come nel Grande disco del 19724 (collocato in piazza Meda a Milano nel 1981) percorso da una profonda fenditura radiale accennante una rottura e un disallineamento dei piani lisci e riflettenti rispetto all’unità dell’insieme. Allo stesso tempo, il tema della rottura di una forma lungo un asse longitudinale, con una rotazione delle due metà che accenna a un effetto di movimento, era stato affrontato in maniera emblematica, due anni prima, nel Colpo d’ala. Omaggio a Boccioni (1981-1984)5, che nel 1986 sembrava spiccare il volo dalla spianata di Forte Belvedere a Firenze. In quell’occasione Alberto Arbasino aveva parlato di «forme primarie lucenti e sgomente» al loro interno «fratturate da voragini inquiete, dove si possono intravedere denti di draghi preistorici, scarti di vecchie rotative, martelletti di antiche Olivetti»6

Pomodoro ha dunque sintetizzato nel Giroscopio i temi del disco e della sfera, e del potenziale mutamento di scala di uno stesso motivo per via di ingrandimento o riduzione meccanica, senza che l’immagine alteri l’impatto nei confronti del fruitore. A tal proposito Argan, presentando la retrospettiva del 1986, proponeva una lettura «umanistica» di un lavoro «in bilico tra metafisica e meccanica, tra cosmologia e orologeria»: «le sculture di Pomodoro» scrive Argan, «hanno il dono di registrare lo spazio come le pendole il tempo: come un fabbricante di astrolabi e meridiane è sempre in cerca del posto giusto dove collocare i suoi registratori-trasformatori»7

Luca Pietro Nicoletti

 

1 Gualdoni 2007, n. 807.

2 Ibid., nn. 960 e 961.

3 Ibid., n. 1040.

4 Ibid., n. 543.

5 Ibid., n. 693.

6 Arbasino 1985, pp. 337, 338.

7 G. C. Argan, Pomodoro nel Forte di Belvedere a Firenze [1986], in Berra, Leonetti 2000, p. 16.