Forme di una danzatrice nella luce (danzatrice con paillettes)
Gino Severini
1912
Pastelli su carta con applicazioni di lustrini
50 x 35 cm
Anno di acquisizione 2001
Inv. 0172
N. Catalogo A165
Provenienza
Esposizioni
Bibliografia
In Forme di una danzatrice nella luce Severini rinuncia a qualsiasi riferimento ambientale e si concentra sulla danza irrequieta della ballerina, descritta attraverso una scomposizione ritmata di forme.
Tra i firmatari dei due manifesti pittorici del 1910, Gino Severini rappresenta una figura centrale all’interno del gruppo futurista. Dotato di una propria autonomia figurativa, determinata dalla sua vicinanza con le correnti d’avanguardia europee, riveste un ruolo di trait d’union tra il movimento marinettiano e la compagine cubista, frequentata dopo il suo arrivo nella capitale francese.
Il tema della danza viene assunto sin da subito come motivo d’indagine prediletto nella sua pittura. Una scelta tematica che rispecchia l’assidua frequentazione dei locali notturni più famosi di Parigi (Monico, Moulin Rouge, Folies-Bergère, Bal Tabarin, rievocati nei titoli e nelle ambientazioni dei suoi stessi quadri), dove veniva molto spesso ammesso liberamente per le sue riconosciute doti di ballerino.
Dal 1911 Severini introduce nella sua pittura il tema della danzatrice, sino a quel momento poco indagato dagli altri protagonisti del movimento, che si erano fermati alle suggestioni espresse nel manifesto, ancora intrise di fascinazioni letterarie tipicamente fin de siècle: «la psicologia nuovissima del nottambulismo [...] le figure febbrili del viveur, della cocotte, dell’apache e dell’alcolizzato».
Ascritta al 1912, per via della datazione autografa posta in calce all’opera, Forme di una danzatrice nella luce dev’essere però riferita al periodo finale dell’anno o ancora, più verosimilmente, ai primi mesi di quello successivo, poiché stilisticamente affine alle ricerche presentate da Severini nella sua mostra personale di Londra dell’aprile 1913, per le quali si possiede una cronologia d’esecuzione più sicura (sch. p. 692). Il 1913 rappresenta per l’artista un momento d’intensa attività produttiva, che si sviluppa attraverso sperimentazioni espressive parallele: se l’attenzione verso il soggetto e la sua riconoscibilità continua a essere presente nelle opere del periodo, in altre prove, come quella in esame, Severini approda a un linguaggio fortemente più astratto e sintetico, che risponde all’esigenza di rappresentare figurativamente i ritmi della danza1 e al contempo restituire le sensazioni percepite, attraverso forme, linee e colori.
In Forme di una danzatrice nella luce Severini rinuncia a qualsiasi riferimento ambientale e si concentra sulla danza irrequieta della ballerina, descritta attraverso una scomposizione ritmata di forme. L’opera, realizzata con la tecnica del pastello su carta e con applicazioni di lustrini, si ricollega a un’altra prova di analoghe dimensioni, intitolata Danseuse parmi les tables, che ne rappresenta il pendant (fig. 1)2.
Lo stesso uso dei lustrini, introdotto dal pittore tra la primavera e l’estate del 1912, trova in Forme di una danzatrice nella luce un’organica evoluzione, in linea con i presupposti teorici e operativi nel frattempo sviluppati. Dopo aver incluso nel tessuto pittorico i lustrini, con la funzione di rappresentare, al limite del decorativismo, unicamente se stessi, Severini decide di riconfigurarne la presenza in maniera più astratta, entro forme geometriche stabilite, tese a rievocare il motivo della danza. Ricordando l’elaborazione di Danseuses espagnoles à Monico (contestuale, o quasi, all’opera in Collezione Cerruti) l’artista traccia retrospettivamente la rotta di questo cambiamento, chiarendo i motivi della sua scelta: «applicai [...] i lustrini [...] in modo più astratto, [...] così non erano messi per descrivere una realtà, ma per esprimerla in modo trascendentale»3. Presentata dagli anni cinquanta nelle principali esposizioni consacrate al pittore (o a quelle più genericamente legate al movimento futurista), Forme di una danzatrice nella luce entra nella raccolta di Francesco Federico Cerruti dopo la metà degli anni novanta4, grazie all’intermediazione di Giancarlo Gallino, fondatore della galleria torinese Antichi Maestri Pittori. In precedenza aveva fatto parte, per lungo tempo, della collezione dell’ingegnere romano Igino Zanda, in possesso di altre opere dell’artista.
Alessandro Botta
1 Lo stesso Severini dichiarava, nel catalogo della mostra londinese del 1913, «I do not, for my part, refrain from feeling instinctively drawn towards a plastic whole in which a musical rhythm accompanies the arabesque of lines and planes» (non mi rifiuto di sentirmi trascinato istintivamente verso insiemi plastici nei quali un ritmo musicale conduce l’arabesco di linee e piani), Londra 1913, p. 6.
2 Fonti 1988, p. 139, n. 127.
3 Severini 1946, p. 175.
4 Al 30 giugno 1993, l’opera non è infatti menzionata tra quelle presenti in collezione, elencate nell’Inventario dei mobili, dipinti, sculture, argenti, tappeti, maioliche, porcellane e oggetti d’arte che si trovano nella villa di Rivoli alla data del 30-06-1993 (Archivio Collezione Cerruti).
Fig. 1. G. Severini, Danseuse parmi les tables, 1912 c., tempera e pastello su cartoncino intelato. Collezione privata.

