Fontanina

Eugenio Baroni

c. 1920
Bronzo
144 x 58 x 58 cm
Anno di acquisizione ante 1983


Inv. 0811
N. Catalogo A755


Provenienza

Esposizioni

Bibliografia

La scultura rappresenta verosimilmente una Creniade, ninfa propria delle fontane, a cui il titolo molto probabilmente si riferisce e che, come tutte le ninfe acquatiche, trova origine sia nella teogonia greco-romana sia in quella nordica. 

 

Conosciuta nelle fonti come Fontanina, la scultura in bronzo è stata commissionata a Eugenio Baroni, nei primissimi anni trenta del Novecento, quasi certamente da Lorenzo Valerio Bona per decorare una fontana nella sua villa di Carignano (oggi Palazzo Provana del Sabbione). Una delle prime notizie che si ha dell’opera è contenuta in un articolo di Calcaprina del 1933, a proposito del gesso da cui fu ricavata la fusione, esposta nello stesso anno alla IV Mostra d’Arte del Sindacato Interprovinciale Fascista delle Belle Arti di Genova. È lì che si cita infatti una versione in bronzo, fusa per «un noto industriale torinese» ed esposta alla Biennale di Venezia del 1932. La famiglia Bona era tra le più influenti del Nordovest italiano nel campo tessile, e Lorenzo Valerio Bona era attivamente impegnato nelle arti, orbitando nel circolo della rivista «L’Eroica» di Ettore Cozzani, lo stesso milieu culturale da cui proveniva Baroni. Bona fu amico e committente dello scultore ligure ed ebbe un ruolo centrale nelle vicende per l’aggiudicazione del Monumento a Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta, ora in piazza Castello, a Torino, il cui scontro finale fu combattuto tra Eugenio Baroni e Arturo Martini. L’opera, l’ultima del ligure, rimase incompiuta quando era in uno stato avanzato di esecuzione e fu conclusa da Publio Morbiducci, proprio sotto la supervisione di Bona. La Fontanina resta presso Villa Bona fino a quando, forse per tramite del poeta e scrittore Gian Piero Bona, figlio di Lorenzo Valerio, passa nella collezione di Francesco Federico Cerruti prima del 1983, mentre il gesso è stato donato dagli Alpini all’Accademia Ligustica, nel 1984, dove tuttora è conservato. Conosciuto principalmente come autore del Monumento ai Mille a Quarto (1915), in cui è ravvisabile una rilettura autonoma e innovativa dei lasciti di Leonardo Bistolfi, il maggior scultore del tempo, Eugenio Baroni è stato uno dei pochi autori italiani capaci di rilanciare la proposta rodiniana in maniera originale recependone gli esiti più sperimentali e fondendoli con altri spunti provenienti da Oltralpe, quali il linearismo asciutto di George Minne, l’eroicismo di Émile-Antoine Bourdelle, fino al monumentalismo mitteleuropeo del croato Ivan Meštrović. Tutti questi elementi rimangono ben evidenti nelle opere dello scultore, soprattutto in quelle di carattere cimiteriale, fin oltre la Prima guerra mondiale, quando si affaccia un’esigenza di arcaicismo e ieratismo che sarà alla base del mai realizzato Monumento al Fante e dei molti altri progettati negli anni venti. In questo contesto, la Fontanina si presenta come un unicum nella produzione di Baroni di quel periodo, orientato per lo più alla costruzione di monumenti celebrativi o funerari, nonché di alcune delle sculture che ornano lo stadio dei marmi del Foro Mussolini (Foro Italico). 

La scultura rappresenta verosimilmente una Creniade, ninfa propria delle fontane, a cui il titolo molto probabilmente si riferisce e che, come tutte le ninfe acquatiche, trova origine sia nella teogonia greco-romana sia in quella nordica. Sebbene sia anche conosciuta con il nome di Aretusa, in riferimento alla ninfa figlia di Nereo che dà il nome al celebre specchio d’acqua di Ortigia, a Siracusa, il taglio di capelli a caschetto, le orecchie quasi appuntite e ben delineate, gli occhi obliqui e la veste attillata con cappuccio sembrano rimandare a figure nordiche, a quegli spiriti ed elfi della tradizione nibelunga. Del resto, una lettura siffatta si sposerebbe perfettamente con le tematiche apprezzate da Bona, che aveva scelto i temi della tradizione nordica per le decorazioni pittoriche della villa di Carignano, realizzate da Adalberto e Viero Migliorati e ispirate ai cicli wagneriani. Le ondine, figlie del Reno, infatti, sono tra le protagoniste dell’Oro del Reno di Richard Wagner, tragedia che apre la tetralogia dell’Anello del Nibelungo e che può aver offerto un probabile spunto. Anche l’iconografia, con la fanciulla che si stringe le braccia alle spalle, e china il capo, mentre l’acqua le scorre addosso, rientra nei topoi della rappresentazione dell’ondina, così come la corona di delfini intorno alla base su cui poggia saldamente i piedi. 

Pure dal punto di vista stilistico l’opera presenta originali apporti rispetto alla produzione solita di Baroni di quegli anni, uno stile più addolcito e morbido che Rossana Bossaglia ha voluto ricondurre al Déco1, sebbene, a ben vedere, di questo stile manchino sia una tendenza a un linearismo più asciutto e sintetico, sia, soprattutto, il dinamismo e l’afflato modernista tipico degli «anni ruggenti». Nell’opera in esame, Baroni sembra viceversa volgere lo sguardo all’indietro verso analoghe «figure-colonna» protagoniste delle sculture cimiteriali realizzate per il Cimitero Monumentale di Staglieno a Genova, come la Tomba Molinari (detta la «Lampada», 1918-1920, fig. 1) o la Tomba Berthe Grosso Bonnin (1921). Al pari di queste prove, la differenza rispetto alla scultura eroica è nella morbidezza del trattamento e dei lineamenti della fanciulla, come se l’acqua sciogliesse certo rigido linearismo ancora presente nella scultura del secondo decennio del secolo. In questo senso i panneggi increspati lungo il dorso, tipici di un tessuto bagnato appiccicato al corpo, o le pieghe verticali, quasi a cannella, accompagnano ed evocano a un tempo lo scorrere dell’acqua. 

Matteo Piccioni

 

1 R. Bossaglia, Baroni. Lo stile degli anni Venti, in Sborgi 1990, p. 10.

Fig. 1. E. Baroni, Tomba Molinari (La Lampada), 1918-1920. Genova, Cimitero Monumentale di Staglieno, Boschetto irregolare.