Fin d'un voyage

Fine di un viaggio

Alberto Savinio (Andrea de Chirico)

1929
Olio su tela
47 x 55 cm
Anno di acquisizione ante 1983


Inv. 0168
N. Catalogo A161


Provenienza

Esposizioni

Bibliografia

Per Savinio [...] il viaggio è il mezzo per accedere alle terre incognite dell’immaginario, poste fuori dal tempo e ambientate in una preistoria edenica, intesa come infanzia del mondo. 

 

Fin d’un voyage è uno dei quattro dipinti che nell’aprile 1929 Alberto Savinio presentò a Parigi nelle sale della Galerie Zak, in place St-Germain-des-Prés, in occasione della mostra «Un groupe d’Italiens de Paris». La singolare marina, con al centro la piccola vela triangolare gonfia di vento, appariva insieme a Epître aux Ethiopiens, Les Collégiens e Sodome1, opere collegate dalla ricorrenza iconografica di oggetti fantastici, accumuli o concatenazioni di giocattoli e poliedri colorati. 

A meno di due anni dall’esordio espositivo, avvenuto nell’ottobre 1927 con la personale alla Galerie Jacques Bernheim introdotta da Jean Cocteau, il lavoro dell’artista appare già pienamente riconosciuto, sia nell’ambito delle gallerie e del collezionismo sia negli ambienti intellettuali della capitale, in particolare nella cerchia dei surrealisti. La collettiva sancisce l’appartenenza di Alberto Savinio e di Giorgio de Chirico agli «Italiens de Paris»: alle pareti della Galerie Zak, espongono accanto a Mario Tozzi, guida del gruppo, a Massimo Campigli, Filippo de Pisis, Renato Paresce, Gino Severini e Alberto Giacometti. Oltre a riavvicinarli allo schieramento, dopo l’iniziale esclusione causata dalle loro interviste pubblicate alla fine del 1927 su «Comoedia», accomunate da un’esplicita polemica anti-italiana2, la mostra apre a ulteriori contatti e posizionamenti, favorendo l’inizio della collaborazione con Georges Ribemont- Dessaignes, autore del testo in catalogo, ex dadaista e surrealista dissidente, capo redattore della rivista «Bifur». Sulle sue pagine, di qui a poco, Alberto Savino pubblicherà l’Introduction à une vie de Mercure3, il progetto letterario rimasto inconcluso dedicato al suo nume tutelare, mentre nella «Collection Bifur» delle Editions du Carrefour, Giorgio de Chirico darà alle stampe il romanzo Hebdomeros4

Fin d’un voyage sembra riecheggiare il titolo di Le voyage sans fin, un dipinto metafisico di de Chirico del 19145. Il tema del viaggio è uno dei motivi ricorrenti dell’epos che i due fratelli hanno creato, identificandosi nelle coppie inscindibili dei Dioscuri, protettori dei naviganti e delle burrasche, e degli Argonauti, i partenti alla ricerca del vello d’oro. Per Savinio, «grand explorateur» e «grand necromancer», come lo aveva definito Waldemar George nella recensione della mostra alla Galerie Zak6, il viaggio è il mezzo per accedere alle terre incognite dell’immaginario, poste fuori dal tempo e ambientate in una preistoria edenica, intesa come infanzia del mondo. 

Sotto la parvenza della scena idilliaca, con il cielo azzurro e il mare a specchio, la spedizione raffigurata nel dipinto ha un significato sospeso, sollecitato visivamente anche dalla varietà delle stesure pittoriche. L’approdo sulla terraferma sembra contraddetto dalla vela spiegata della piccola imbarcazione, restituita in bianco e nero in una sorta di inserto fotografico a contrasto con il vivace cromatismo dell’insieme. Come già nel vascello «trofeo» di Le navire perdu (fig. 1)7, lo scafo è completamente incorporato alla terra, innestato su un frammento di natura, un sorprendente lembo di pittura materica, informe, lavorata per strati e impronte fino a ottenere una crosta terrosa dai riflessi cangianti e metallici. La barca-scoglio, risaltata sullo sfondo di un’isola bianca e vaporosa come una nuvola, muove con il suo vivace bagaglio metaforico di balocchi, costruzioni di legno dai contorni arrotondati, resi soffici dalla pastosità del colore. Introdotto da Object dans la fôret del 1927-19288, il tema è al centro di un ciclo articolato in numerose varianti, nelle quali i giocattoli, accumulati a terra o librati nell’aria, fungono da macchine affabulatorie, ironiche e immaginifiche. 

Esposto alla Galleria Gissi di Torino nel 1973, Fin du voyage sarà poi compreso nella mostra «Savinio. Gli anni di Parigi», a Verona nel 1990. Acquisito da Francesco Federico Cerruti entro il 1993, come documenta l’inventario dei beni mobili e immobili di Villa Cerruti, datato al 30 giugno, l’opera forma, insieme a Le sommeil de l’Hermaphrodite e a Voilà mon rêve, un nucleo coeso all’interno della raccolta, una trilogia rappresentativa della stagione da cui prende avvio l’intero arco di ricerca dell’artista. 

Giorgina Bertolino

 

1 Vivarelli 1996, nell’ordine pp. 66-67, nn. 1929 8 e 1929 10, ill., p. 70, n. 1929 18, ill.

2 Uscite a quindici giorni di distanza, nel novembre e dicembre 1927, le due interviste avevano raccolto le critiche dei de Chirico all’arte italiana e al suo sistema. Per Savinio, Parigi è «l’unica città possibile al mondo, l’unica dove ci si può produrre, l’unica dove ci si sente incoraggiato, l’unica dove regna contemporaneamente l’intelligenza e il senso dell’arte» (Lagarde 1927a). Per de Chirico «non ci sono in Italia movimenti d’arte moderna. Né mercanti, né gallerie. La pittura italiana moderna non esiste» (Lagarde 1927b).

3 Savinio 1929 ora in Savinio 1995, pp. 439-460.

4 De Chirico 1929.

5 Wadsworth Atheneum Museum of Art, Hartford.

6 George 1929b.

7 Vivarelli 1996, p. 57, 1928 26, ill. La citazione è tratta dalla scheda dell’opera.

8 Vivarelli 1996, p. 44, 1927-1928 3, ill.

Fig. 1. A. Savinio, Le navire perdu, 1928, illustrato nella copertina della mostra «Le muse inquietanti. Maestri del Surrealismo», Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, 1967.