Emanuele Filiberto, duca di Savoia

Carlo Marochetti

1837-1838 c.
Gesso patinato a imitazione del bronzo
82 x 85 x 32 cm
Anno di acquisizione 1992


Inv. 0607
N. Catalogo A539


Provenienza

Bibliografia

Eretto nel 1838 in piazza San Carlo a Torino, il monumento equestre al duca Emanuele Filiberto di Savoia, il cosiddetto Caval ’d brôns, è concordemente considerato il capolavoro di Carlo Marochetti e una delle massime espressioni della scultura romantica dell’Ottocento. È proprio quest’opera a rivelare al grande pubblico l’estro e le capacità del giovane scultore, contribuendo in misura determinante a farlo conoscere e apprezzare in tutta Europa. 

Marochetti era stato incaricato della sua esecuzione nell’ottobre 1831 dal re di Sardegna Carlo Alberto, che a pochi mesi dalla sua ascesa al trono recuperava in una prospettiva di autocelebrazione dinastica una figura tra le più emblematiche della storia sabauda: quella di Emanuele Filiberto (1528-1580), detto «Testa di Ferro», il principe che nel Cinquecento aveva riconquistato i domini occupati da Enrico II di Francia e deciso lo spostamento della capitale da Chambery a Torino (1563), glorificato come «il vero fondatore della monarchia piemontese»1

Scartata una prima proposta (nota attraverso un bozzetto in gesso conservato alla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino), il sovrano approva la composizione, dinamica ma di grande equilibrio, concepita da Marochetti, che raffigura il vincitore della battaglia di San Quintino (1557) nell’atto di riporre la spada nel fodero con gesto ampio e teatrale, mentre frena il passo del suo focoso cavallo. La realizzazione dell’opera si protrae, fra polemiche e ostilità da parte dell’Accademia torinese, per ben sette anni, nel corso dei quali vengono apportate rilevanti modifiche al piedistallo, completato solo nel 18392. Il gruppo equestre, fuso in bronzo da Soyer et Ingé a Parigi, è invece terminato all’inizio del 1838 e per circa due mesi, tra la fine di marzo e l’inizio di giugno dello stesso anno, viene esposto nel cortile del Louvre, raccogliendo grandi consensi prima di essere trasportato a Torino, dove viene inaugurato il 4 novembre, giorno onomastico del re. 

Il successo della statua a Parigi è tale da originare un fiorente mercato di riproduzioni seriali a scala ridotta, in bronzo, gesso e altri materiali, adatte a soddisfare le più diverse esigenze d’arredo: «Nos cheminées, nos étagères, nos pendules furent embellies de ce guerrier à cheval», scrive nel 1840 G. Guénot-Lecointe, «fotografando» una situazione che sembra essere ormai sfuggita al controllo di Marochetti. Consapevole della qualità dell’opera, lo scultore è il primo a curarne la promozione attraverso la vendita di riduzioni, ma già nel marzo 1839 si trova a dover fronteggiare il problema delle contraffazioni, intentando una causa che resterà nella storia del diritto della proprietà artistica. Proprio i documenti relativi al processo svelano, lo ha chiarito C. Hedegren-Dillon in un ottimo contributo su «La Tribune de l’Art»3, come già prima di esporre la statua egli avesse preso accordi con Louis Jeannest affinché ne riproducesse il «petit modèle», realizzato verosimilmente con l’ausilio del pantografo; lui stesso aveva poi consegnato nel 1838 diversi esemplari della riduzione ai «marchands de nouveautés» Susse e Giroux. L’anno dopo la statuetta dell’Emanuele Filiberto, disponibile in varie grandezze, era venduta da tre diversi fabbricanti di bronzi d’arte: Soyer et Ingé, Susse Frères e De Braux d’Anglure, l’unico a proporla in due versioni, una di 41,2 cm e l’altra alta il doppio, 82,5 cm, dalle dimensioni quindi pressoché identiche a quelle del bel gesso della raccolta Cerruti e di un altro gesso conservato presso il Musée du Louvre, probabilmente il modello fornito da Marochetti stesso a De Braux nel 1840 assieme ai diritti di riproduzione dell’opera. Il nostro, a differenza dell’altro, non è firmato; la sua esecuzione è tuttavia molto curata e le caratteristiche della superficie, così come la finitura color bronzo e l’inserto della catenella metallica tra redini e morso, fanno pensare più a un modello originale che a una riproduzione commerciale, ipotesi confermata da un’expertise della Galerie Patrice Bellanger, datata 28 settembre 1992, rinvenuta nell’archivio della Collezione Cerruti, che attesta l’autenticità dell’opera, ancora in possesso della Galerie Perrin di Parigi. Un «modellino [...] fatto con istraordinario valore», forse lo stesso di cui scrive Pietro Baldassarre Ferrero in una lettera diretta a Paolo Toschi4, venne esposto a Torino nel 18385

Monica Tomiato 

 

1 Botta C. 1841, p. 39, cit. in S. Cavicchioli, Scolpire il principe. Carlo Marochetti e l’identità nazionale nell’Europa dell’Ottocento, in Castello, Belligni 2016, pp. 138-139.

2 La vicenda è ricostruita nei dettagli da Bollea 1933.

3 Hedengren-Dillon 2014, il contributo è consultabile anche on line: www.latribunedelart.com/l-emmanuel-philibert-de-marochetti-histoire-d-une-reduction.

4 Parma, Museo Glauco Lombardi, Archivio Toschi, cart. 49, fasc. 20, 26 dicembre 1837.

5 Torino 1838, p. 74, n. 342; Della Chiesa di Benevello 1838, p. 41.