Danzatrice in un Restaurant (Café Americain) (Café Anglais)
Gino Severini
1915 c.
Olio su tela
56 x 47 x 2,5 cm
93 x 82 x 7 cm
Anno di acquisizione 1983
N. Catalogo A167
Inv. 0174
Provenienza
Esposizioni
Bibliografia
Danzatrice in un restaurant affronta il tema della danza, collocandosi in un filone di ricerca particolarmente caro a Gino Severini, indagato con assiduità a partire dal 1911.
Citata alternativamente con il titolo di Café Anglais, Café Américain1 o ancora con l’indicazione di Danzatrice in un restaurant, l’opera affronta il tema della danza collocandosi in un filone di ricerca particolarmente caro a Gino Severini, indagato con assiduità a partire dal 1911. Privo di data, il dipinto è stato assegnato in alcune circostanze ai primi anni dieci mentre la sua realizzazione, in realtà, è più convincentemente collocabile intorno alla metà del decennio, soprattutto se messo a confronto con alcuni carboncini e quadri del periodo, che mostrano un analogo sviluppo in senso più solido e compatto delle figure. Meno indagato rispetto alla stagione precedente, il tema delle «ballerine» viene nuovamente affrontato da Severini durante gli anni della guerra, quando nell’inverno del 1915, dopo esser rientrato a Parigi con la moglie, affianca questo genere di raffigurazioni a motivi più spiccatamente bellici, riproponendo la fascinazione per la vita notturna e febbrile della capitale francese, eletta a sua residenza sin dal 1906. Condotta in un momento particolarmente drammatico e segnato da difficoltà economiche, la ricerca di Severini sui temi legati alla danza trova conferma in un breve passaggio delle sue memorie, che rievoca l’attività di pittore svolta in quel difficile periodo di guerra: «Lavorai discretamente, e non solo dipinsi soggetti guerrieri, ma ripresi anche i miei soggetti delle danzatrici e dei ritratti»2.
In Danzatrice in un restaurant Severini abbandona la scomposizione in piani e gli effetti simultanei di matrice marcatamente futurista, preferendo conferire una maggiore riconoscibilità sia al soggetto che all’ambiente: così come la ballerina, collocata al centro della composizione, non si fonde più con lo spazio circostante come nelle opere del 1912-1913, le presenze dell’uomo con la tuba e del violinista appaiono ben riconoscibili e dotate di una propria autonomia spaziale. Proprio nei suoi aspetti formali, l’opera trova profonde connessioni con altre prove del periodo, che si avviano parallelamente verso un linguaggio più plastico, influenzato certamente dalle contemporanee ricerche cubiste3. A campiture di colore piatte e regolari, realizzate con una modalità analoga ai contemporanei «quadri di guerra», corrispondono aree più densamente materiche, in particolare nella veste della ballerina, condotte attraverso pennellate rialzate di colore, che conferiscono una tessitura vibrante e variata all’intera composizione4.
Un’etichetta posta al verso del quadro, riferibile al primo proprietario dell’opera, la pittrice Mary Cockburn Mercer, fornisce l’indicazione verosimilmente più antica di titolo, segnalato come Café Anglais Paris. Un dato che permette di ricondurre il soggetto del dipinto al contesto dell’omonimo ristorante poco distante dall’Opéra-Comique, posto all’angolo tra Boulevard des Italiens e Rue de Marivaux, ritrovo mondano frequentato da scrittori e drammaturghi sin dal Secondo Impero. Severini, nel dipinto, sembra infatti evocare gli spazi interni dello storico ristorante, chiuso nel 1913, riproponendo i dettagli della moquette arabescata a terra, o ancora le boiserie laccate color crema collocate alle pareti. Uno sguardo retrospettivo, forse un po’ malinconico, verso una stagione di ottimismo e spensieratezza notturna che doveva apparigli in quel momento ormai lontana.
Danzatrice in un restaurant è probabilmente il dipinto che Severini offre in dono al gallerista Giuseppe Sprovieri nel 1920, ma che il medesimo vorrebbe sostituire con un’opera più significativa, come esplicitato in una lettera del 28 settembre di quell’anno: «Veniamo ora all’offerta che mi fai», scrive Sprovieri a Severini, «di una piccola tela (Danzatrice in un restaurant) […]. L’accetto senz’altro con molto entusiasmo ma vorrei che tu mi inviasti [sic] qualche cosa di maggior valore […] e ciò nel tuo interesse poiché passa ormai da casa mia molta gente»5. Un’identificazione, tra la lettera e il dipinto, che ha determinato la variante di titolo correntemente in uso, la quale ribadisce in ogni caso come l’ambientazione dell’opera sia da ricondursi al contesto del «restaurant» piuttosto che a quella dei dancing della capitale. Sempre negli anni venti l’opera viene venduta a Mary Cockburn Mercer, pittrice residente in Francia e collezionista di Chagall, Van Dongen e Lhote, legata in quel periodo all’artista statunitense Alexander Robinson, indicato anch’egli tra i proprietari del dipinto. Dopo aver fatto parte della collezione torinese Trivero, l’opera viene acquisita da Federico Cerruti all’inizio degli anni ottanta6, comparendo nelle principali esposizioni e iniziative dedicate al centenario severiniano del 19837.
[Alessandro Botta]
1 Café Américain, in particolare, appare per la prima volta in una vendita all’asta del 1973 rimanendo successivamente legato al dipinto. Le altre varianti di titolo sono affrontate nello svolgimento della scheda.
2 Severini 1946, p. 238.
3 In particolare Danseuse del 1915 (si veda Fonti 1988, pp. 203-204, n. 248) e le prove grafiche affini, che mostrano un’analoga semplificazione plastica della ballerina, tale da conferirle un aspetto di marionetta meccanica. Il soggetto femminile della Danzatrice in un restaurant è stato poi messo in relazione con il disegno Danseuse (ibid., p. 208, n. 256) realizzato sempre negli stessi anni.
4 Secondo Daniela Fonti, si tratta di scelte tecniche «memori delle paillette futuriste» (D. Fonti, Gino Severini. La danza, in Venezia 2001, p. 30).
5 Lettera di G. Sprovieri a G. Severini, 28 settembre 1920, ora in Omaggio a Severini 1970, p. 56. Un appunto di Severini, riportato nella medesima missiva, indica le dimensioni del dipinto («55 x 46») offerto al gallerista, compatibili con l’opera in esame.
6 Certamente dopo la mostra «Du futurisme au spatialisme. Peinture italienne de la première moitié du XXe siècle» del 1977-1978 a Ginevra, che riporta in catalogo l’indicazione della proprietà Trivero.
7 L’opera viene infatti prestata, in forma anonima, alla mostra «1983. L’anno di Gino Severini», inaugurata nel dicembre del 1982 presso lo Studio Mitzi Sotis di Roma. Nell’archivio del collezionista si conserva il pieghevole dell’esposizione, inviato dalla gallerista a Cerruti, nel quale ringrazia per la concessione temporanea del dipinto.