Au Café (Coppia al caffè)

Federico Zandomeneghi

1885 c.
Pastello su carta
44,5 x 54 cm
71 x 82 x 8,5 cm
Anno di acquisizione 1984-1993


N. Catalogo A182
Inv. 0187


Provenienza

Esposizioni

Bibliografia

Costretta nello spazio serrato fra il tavolo e la parete, una coppia s’intrattiene in un privato colloquio, e la donna sembra accogliere con intimo compiacimento le parole del compagno, tanto che nel suo volto pallido gli occhi brillano commossi.

 

Nel giugno del 1874 Federico Zandomeneghi, formatosi alle accademie di Venezia e di Milano, approdato a Firenze nel 1862 e subito accolto nella cerchia dei Macchiaioli grazie a Giuseppe Abbati, amico di lunga data, partì per Parigi intenzionato a rinnovare il proprio linguaggio figurativo e a tessere confronti costruttivi con i rappresentanti di differenti maniere artistiche; vi sarebbe rimasto tutta la vita.

Introdotto al Café Nouvelle Athènes da Marcellin Desboutin, estroso intellettuale a lui caro dagli anni fiorentini, Zandomeneghi cominciò a frequentare il milieu degli «intransigenti», come si definivano gli impressionisti, e dei letterati loro sostenitori fra i quali Edmond Duranty ed Émile Zola; e presto aderì ai concetti pittorici di quegli artisti, condividendo in particolare le idee e i modi di Edgar Degas, di cui stimava le opere fondate sulla sintesi e sui valori compositivi del disegno. E fu proprio Degas a invitare il veneziano a partecipare alle mostre degli impressionisti, in una delle quali, nel 1879, Zandomeneghi presentò Violettes d’hiver, una figura femminile dall’intrigante bidimensionalismo japoniste, in parte memore degli esempi di Giuseppe De Nittis, e due ritratti, tra cui quello di Diego Martelli, colto sostenitore dell’arte moderna.

Da allora egli si dedicò con convinzione alle scene di vita contemporanea, infondendovi il senso della trascorrenza grazie alle inusitate situazioni spaziali e alla pennellata rapida, filamentosa, intrisa di luce. Ne sono esempi eloquenti Mère et fille, presentato alla quinta mostra degli impressionisti nel 1880, e i dipinti ambientati nelle sale di un caffè eseguiti alla metà degli anni ottanta, fra i quali Coppia al caffè, realizzato con la tecnica del pastello.

Costretta nello spazio serrato fra il tavolo e la parete, una coppia s’intrattiene in un privato colloquio, e la donna sembra accogliere con intimo compiacimento le parole del compagno, tanto che nel suo volto pallido gli occhi brillano commossi. La meditata impaginazione, che taglia con spregiudicatezza l’immagine nell’apparente casualità dell’inquadratura ravvicinata, dà risalto a particolari utili a esaltare i valori narrativi e pittorici della scena, dal ventaglio appoggiato con nonchalance sul piano di marmo alla fragranza cromatica dei fiori appuntati al petto e sul cappello della ragazza, a dar vita ad armoniose assonanze con la veste di lei, con la rivestitura del canapè.

D’altronde, che il colore sia elemento saliente del dipinto lo conferma il suadente rapporto tra la figura scura dell’uomo e quella permeata di luce della giovane, cui l’artista affida i valori compositivi ed emozionali della scena di vita moderna. Una simile sapienza nell’uso del colore riflette il colto riferimento di Zandomeneghi alla tradizione settecentesca, e in particolare all’opera di Rosalba Carriera, raffinata interprete di una grazia femminile di cui egli doveva condividere lo spirito; una reminiscenza agevolata dall’uso del pastello, cui il pittore si applicò sull’esempio degli impressionisti, di Degas e di Renoir soprattutto, e che adoperò con maestria, coniugando alla luminescente freschezza della materia cromatica, resa tramite un tratteggio più o meno ampio e regolare, o il suo impalpabile sfumarsi, la purezza del disegno che definisce la forma «con sicura evidenza», per usare un’espressione di Enrico Piceni1. Francesca Dini suggerisce di identificare il pastello con quello intitolato Au Café esposto alla mostra dell’«Association des XX», allestita a Bruxelles nel 1886, cui Zandomeneghi partecipò come francese2.

[Silvestra Bietoletti]

 

 

1 Piceni 1967, p. 22.

2 Dini 1989, p. 415, n. 73.