Ciclo 1961 - S.2

Emilio Vedova

1961
Olio e collage di carta di giornale su tela
145 x 200 cm


Inv. 0184
N. Catalogo A178


Provenienza

Esposizioni

Bibliografia

«I miei lavori sono pieni di strutture - queste strutture sono strutture della mia coscienza».

 

Fin dal 1946, quando firmò il manifesto programmatico Oltre Guernica e fu tra i fondatori del «Fronte Nuovo delle Arti», e ancora nei primi anni cinquanta, quando fece parte del gruppo degli «Otto pittori italiani», Emilio Vedova indirizzò la sua pittura a un orizzonte di impegno e di scontro con il reale. Lo motivava, come ha scritto Luisa Somaini, «una presa di posizione di fiero non allineamento, di enunciazione di una crisi che non era solo politica ma anche dell’uomo e dell’intellettuale negli anni [...] della “guerra fredda”»1

Nel tenersi lontano da ogni forma di realismo, Vedova trovava le sue radici nel dinamismo di Boccioni, mettendolo a confronto con la severa grammatica di ascendenza cubista che caratterizzava il rigore dei dipinti in bianco e nero di quella stagione astratto-concreta. Nel 1953, con il Ciclo della protesta e il Ciclo della natura e con l’abbandono di ogni quadratura spaziale, si annunciava nei suoi dipinti una nuova consonanza con l’Espressionismo astratto. 

L’artista era solito indicare nei suoi disegni del 1935-1937, in cui le figure sono «nuclei di energia in espansione»2, il precoce punto di origine della svolta gestuale. Il senso di questo passaggio si precisò definitivamente tra il 1959 e il 1961, con le grandi tele asimmetriche del ciclo Scontri di situazioni, esposte a Venezia nella mostra «Vitalità nell’arte», con la sala personale che gli valse il premio per la pittura alla XXX Biennale, con le scenografie per l’opera di Luigi Nono Intolleranza ’60, presentata al Teatro La Fenice nell’aprile del 1961. Si trattava di una «gestualità che aveva bisogno di farsi corpo in un suo spazio - precisò Vedova nel 1964 -, articolata, tentacolare»3

La tappa successiva fu nel 1962-1963 quella dei Plurimi, quadri/scultura in cui supporti lignei irregolari dipinti su entrambe le facce, uniti tra loro da cerniere o corde, si sviluppano tridimensionalmente per penetrare lo spazio e offrire all’osservatore la possibilità di attraversarli non solo con lo sguardo, in un percorso che culminò nel 1964 ne L’assurdo Diario di Berlino. Nel processo di avvicinamento all’invenzione dei Plurimi, importante fu il costante esercizio di sperimentazione cromatica e gestuale condotto in alcune serie parallele, dedicate alla Corea o alla Spagna, oppure identificate da date, e sviluppate con ritmo e intenzione diaristici, tra cui il Ciclo ’61 del quale fa parte l’opera in Collezione Cerruti, sulla cui superficie in più punti la materia pittorica incorpora fogli di giornale. Vale per questa tela quanto osservarono i principali interpreti di quel passaggio cruciale della ricerca di Vedova. Giulio Carlo Argan fu il primo a scrivere dei Plurimi per la mostra del 1963 alla Galleria Marlborough di Roma: «L’immagine può accadere qui, là, dovunque, [...] lo spazio è pieno di segnali, di chiamate, di allarmi»4; e Werner Haftmann, che già nel 1955 aveva invitato Vedova a Kassel alla prima Documenta, ne presentò una retrospettiva alla Kunsthalle di Baden-Baden nel 1964: «Ogni evento è trasposto in gesto diretto, la cui traccia evocativa si consegna in segno espressivo»5. Ma intanto Vedova teneva a distanziarsi dall’Informale, dichiarando nel 1963 su «Il Verri»: «I miei lavori sono pieni di strutture - queste strutture sono strutture della mia coscienza»6

Le tele del Ciclo ’61 furono esposte solo a partire dalla fine degli anni settanta, in particolare nelle antologiche curate nel 1981 da Argan e Maurizio Calvesi a San Marino7 e da Jürgen Schilling a Braunschweig8. Non fa eccezione l’opera in Collezione Cerruti, esposta per la prima volta al Castello di Portofino nel 19789, e quindi nel 1981 a Braunschweig. Un rinnovato interesse per quella stagione ha caratterizzato nel 2010 la mostra Emilio Vedova 1961 & 1984, realizzata dalla Fondazione Vedova al Magazzino del Sale alle Zattere, in cui il confronto tra opere del Ciclo ’61 e del Ciclo ’62 e dipinti delle serie Scarabocchi dell’anima (1982) e Di umano ’84 ne evidenziava gli elementi di continuità e le reciproche risonanze10

Maria Teresa Roberto 

 

1 L. Somaini, Otto pittori italiani 1952-1954, in Milano 1986, pp. 7-28 (cit. pp. 22-23).

2 E. Vedova, Auszug auf Notizen in Skizzenbuchern zu der ersten «plurimi», in Monaco di Baviera 1964, trad. it. da Quaderni studio ai Plurimi. 1961-1965, in Rivoli 1998-1999, pp. 65-71 (cit. p. 67).

3 Ibid., p. 65.

4 G. C. Argan, I «plurimi» di Vedova, in Roma 1963-1964, p.n.n.

5 W. Haftmann, in Baden-Baden 1964-1965, p.n.n., trad it. in Rivoli 1998-1999, pp. 201-202 (cit. p. 202).

6 Vedova 1962, pp. 83-93. Per il dibattito critico si veda M. V. Marini Clarelli, Le strutture della coscienza. Vedova e il dibattito sull’Informale, 1958-1962, in Roma-Berlino 2007-2008, pp. 21-25.

7 San Marino 1981.

8 Braunschweig 1981-1982.

9 Portofino 1978. Il catalogo si concentra sulla documentazione dei recenti, e a quella data inediti, esiti dei Plurimi del ciclo Lacerazione, presenti in mostra.

10 Emilio Vedova 1961 & 1984, mostra senza catalogo (Venezia, Magazzino del Sale alle Zattere, 4 dicembre 2010 - 1o maggio 2011), a cura della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova.