Cardinale

Giacomo Manzù

1950-1960
Bronzo
h 43 x 25,7 x 28 cm
Anno di acquisizione 1984-1993


Inv. 0140
N. Catalogo A133


Provenienza

È possibile che anche il disegno Cerruti, raffigurante un monsignore seduto in abito talare diurno, sia un ritratto o almeno uno schizzo tratto dal vero [...] 

 

Il tema dei «Cardinali», seduti o in piedi, accompagna tutta la carriera di Giacomo Manzù a partire dalla metà degli anni trenta e per tutto il secondo dopoguerra, quando la sua fama lo porterà a diventare lo scultore di riferimento del pontificato di Giovanni XXIII. È stato molto dibattuto infatti il tema dell’identità di Manzù quale scultore «cattolico», oggetto di critiche di vario genere, fra detrattori di un’immagine devota dello scultore bergamasco e assertori di un afflato spirituale avulso dall’adesione confessionale dell’artista, che pure proveniva da una famiglia cattolica osservante di umile estrazione. Il tema, che nel tempo gli ha guadagnato la stima delle gerarchie ecclesiastiche, in più occasioni committenti di sue opere, è stato rimesso a fuoco dalla mostra romana di Castel Sant’Angelo del 2016-20171 che ha portato a una puntualizzazione di questo complesso rapporto, passato dalla minaccia di scomunica per la realizzazione nel 1941 dei celebri bassorilievi dedicati alla Crocifissione fino al fitto dialogo con il cardinale e arcivescovo Loris Capovilla e con il pontefice2, dando alla sua carriera un’enorme visibilità. Rispetto alle opere di soggetto religioso, tuttavia, nella serie dei «Cardinali», tema, per Manzù, di sperimentazione formale di lungo periodo, l’attenzione dello scultore si sposta principalmente sull’iconografia della gerarchia ecclesiastica e sulla solennità rituale dei paramenti liturgici, di cui coglie l’arcaismo formale e simbolico, specialmente negli sviluppi del dopoguerra. 

Per la prima volta un Cardinale seduto in bronzo del 1938, conservato oggi presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, viene presentato dallo scultore alla Quadriennale di Roma del 1939, destando l’attenzione della critica, e in particolare di Cesare Brandi. In questo prelato, coevo al disegno di Collezione Cerruti, Manzù aveva dato una risposta di sintesi formale rispetto a certe declinazioni veriste di memoria ottocentesca3, e rispetto a una prima infatuazione per Medardo Rosso: le scanalature dell’abito, che diventeranno via via più ampie e sintetiche, indicano già un desiderio di semplificazione attribuibile forse all’impressione ricevuta dalla visione dal vero di dipinti di Paul Cézanne, oltre a una possibile derivazione visiva dal vescovo Orso scolpito da Tino di Camaino4. In precedenza, e con accenni di più spiccato realismo, fra 1935 e 1937 disegni ritraenti cardinali erano comparsi come illustrazioni sulle pagine de «Il Frontespizio» di Bargellini e su «l’Orto». Con disegni della fine degli anni trenta, per altro, si chiudeva l’importante monografia sull’opera su carta introdotta da un sensibile e ispirato testo di Mario De Micheli per le Edizioni di Corrente5. Il critico milanese, in quell’occasione, annotava che «egli agisce nel cerchio contratto del soggetto» con una grafia «mai conclamata»6, evitando quindi una certa retorica celebrativa e ricorrendo a strumenti grafici più inclini a una modulazione espressionista del disegno, come l’inchiostro a penna acquerellato, che consente un tratto affilato e una sintesi plastica dei partiti chiaroscurali. 

Riferendosi proprio a un disegno ritraente un cardinale riprodotto nella prima tavola a colori del volume, De Micheli osservava infatti che, in merito al ductus grafico dell’artista, 

«sopra un piano d’un rilievo tonale la figura si stacca flettendosi per proprio conto in volume definito e risentito. La macchia bruciata e paonazza si allarga con forza sul foglio non per un puro giuoco di cromatismo elementare, e nemmeno per una rapidità intuitiva di una massa fluida vibrante in colore, come, magari, volentieri suggerisce Fontana, ma per la necessità di rendere distante la figura dal suo piano d’origine, per isolarla in spazialità evidenti»7

Il disegno Cerruti, però, è assimilabile ad altri, specialmente a quello con dedica all’amico Elio Vittorini8 in cui pennello e penna si alternano e che appare con evidenza un ritratto dal vero, magari ritoccato in un secondo tempo nella resa chiaroscurale. È possibile che anche il disegno Cerruti, raffigurante un monsignore seduto in abito talare diurno, sia un ritratto o almeno uno schizzo tratto dal vero: in ogni caso dimostra uno studio dal vero dei dettagli di moda o di costume che si ritrovano anche nel piccolo bronzo esposto alla Quadriennale. 

Nei decenni successivi, specialmente a partire dalla metà degli anni cinquanta, Manzù avrebbe però optato per una sintesi radicale, trasformando il suo prelato in una forma compatta, seduta o in piedi senza che la solida corazza dei paramenti liturgici lasciasse intuire l’anatomia del soggetto salvo la testa coronata dalla mitria che sbuca da questo involucro rigido. Nella versione seduta, in particolare, il principe della Chiesa è un unico mantello scandito da pieghe ampie e scanalate come colonne, accentuando, specie nelle numerose fotografie che lo ritraggono di profilo, un’unica curva che dalla seduta culmina nella punta del cappello. Non mancheranno occasioni di successo per questa invenzione plastica dalla cadenza architettonica: su questo schema, ad esempio, Manzù realizzerà nel 1953 il grande monumento al cardinale Lercaro per San Petronio a Bologna, applicando a quella struttura un volto con la sua fisionomia; e così un grande Cardinale del 1955 entrerà nelle collezioni di Cà Pesaro a Venezia. Non va trascurato il grande successo di questo tema della scultura di Manzù in ambito anglosassone, che ha indotto a proporre un confronto fra queste figure compatte e impenetrabili e gli esiti scultorei delle lamiere schiacciate e stilizzate in forme antropomorfe dello scultore inglese Lynn Chadwick presentate alla Biennale di Venezia del 19569. Un passo di Raffaele Carrieri su «Epoca» confermerebbe indirettamente un nesso fra queste evidenze visive, quando lo scrittore descrive i Cardinali in bronzo di allora come «sagoma di lamiere stilizzate in cima alle quali i volti vivono in un isolamento di corruccio in attesa dell’eternità»10

Luca Pietro Nicoletti 

 

1 Roma 2016-2017a.

2 Ibid.

3 C. Fabi, in Roma 2016-2017a, pp. 66-68.

4 B. Cinelli, Manzù e l’arte sacra: un itinerario complesso, in Roma 2016-2017a, pp. 28-39.

5 M. De Micheli, Prefazione, in Manzù 1942, p.n.n.

6 Ibid.

7 Ibid.

8 Ibid., tav. 17.

9 Lanzafame 2018, pp. 193-213.

10 Ibid., p. 201.