Capriccio architettonico con statua di Minerva
Francesco Guardi
1775 c.
Olio su tela
40 x 29,5 cm
Anno di acquisizione post 1983
Inv. 0027
N. Catalogo A25a
Provenienza
Esposizioni
Bibliografia
Tutta di Francesco è, ad ogni modo, l’atmosfera sospesa e di sogno che caratterizza entrambi i dipinti, segnati da una preparazione grigio-scura che ne determina le tonalità fondamentali e la tenuta chiaroscurale delle immagini.
I due dipinti sono esempi particolarmente interessanti del gusto rovinistico e del capriccio proprio dell’arte di uno dei più grandi interpreti del vedutismo settecentesco, Francesco Guardi. Nel Capriccio con rovine, alcune figure di spalle si affaccendano di fronte a un grande arco in rovina, elemento di un portico diruto, mentre sullo sfondo si intravede una candida fornice caratterizzata da un timpano spezzato. Nel suo pendant, una coppia in abiti signorili si appresta a varcare la soglia di un portale che pare introdurre all’interno di un cortile dove campeggia una statua rappresentante Minerva, ben riconoscibile per i suoi attributi: armatura, scudo e lancia. Entrambi i dipinti sono costruiti con un’attenta regia luministica: in un caso una luce scalena, al crepuscolo, disegna ombre insistite nel primo piano e taglia diagonalmente tutto il dipinto, segnato da una pennellata di corpo e da accumuli materici; nell’altro, una luce argentata e lunare illumina le figurine e fa brillare come oggetti d’oreficeria le modanature architettoniche della quinta scenografica, a mo’ di boccascena per la bianca balaustra dello sfondo. Mentre il Capriccio con rovine è chiaramente debitore ancora di soluzioni elaborate da Marco Ricci, riadattate e tradotte nel linguaggio guardesco, il suo pendant rivisita in qualche modo idee più legate al mondo di Canaletto. Tutta di Francesco è, ad ogni modo, l’atmosfera sospesa e di sogno che caratterizza entrambi i dipinti, segnati da una preparazione grigio-scura che ne determina le tonalità fondamentali e la tenuta chiaroscurale delle immagini.
Il Capriccio architettonico con statua di Minerva, giudicato «opera eccellente» da Morassi, può essere messo in relazione con un altro dipinto passato recentemente nel mercato antiquario, di dimensioni però più modeste e su supporto ligneo1, presentato come autografo di Francesco e, tuttavia, come correttamente riconosciuto da Succi2, verosimilmente da ricondurre alla mano del figlio Giacomo, come dimostra la trascrizione più goffa e coloristicamente più incerta, rispetto all’esemplare in esame. Completamente differenti rispetto al nostro modello, appaiono anche la resa cromatica e luministica, impostate su tonalità molto più chiare e colori vivacemente accostati. Il tema del portico, con innumerevoli varianti, ma sempre come spunto per una composizione a cannocchiale che inquadri un’ulteriore veduta incorniciata dall’architettura in primo piano, è stato oggetto di attenti studi da parte di Francesco Guardi nel corso di tutta la sua carriera e numerosi sono i disegni che possono essere associati con tale meditazione (ad esempio i fogli conservati al Museo Correr di Venezia, nn. 907, 710, 707, 706, 717)3, sebbene nessuno di questi possa essere direttamente collegato alla tela in esame. Per quanto riguarda la cronologia di questi due dipinti, pur stante la difficoltà di delineare un’evoluzione precisa nel percorso del maestro, sembra plausibile collocare la coppia intorno alla metà dell’ottavo decennio del Settecento. In questa direzione conducono la ristretta gamma cromatica adottata da Francesco, la preparazione grigo-scura, la luce e l’intonazione dorata che caratterizza le due tele, unitamente al chiaro influsso di certe invenzioni di Marco Ricci, interesse che tuttavia si può collocare già intorno al settimo decennio del secolo, come vale a dimostrare in questo senso la copia del Capriccio architettonico con rovine romane di Marco e Sebastiano Ricci, oggi conservato presso i Musei Civici di Vicenza. Si osservi che la data al 1780 che compare sul retro dell’esemplare già a New York, da intestare a Giacomo, e che Succi riconduce alle «certificazioni furbesche»4 del figlio, potrebbe valere, come osserva lo stesso studioso, a documentare se non altro il periodo di esecuzione dell’invenzione originale, negli anni in cui questi svolgeva il suo apprendistato presso la bottega paterna.
Denis Ton
1 Christie’s, Londra, 6-7 luglio 2005 (lot. 18, 20 x 16,2 cm).
2 D. Succi, Francesco Guardi 1712-1793, in Gorizia 1988, p. 377.
3 Si veda Pignatti 1983, vol. III, pp. 146-151.
4 D. Succi, Francesco Guardi 1712-1793, in Gorizia 1988, p. 378.
