Bambino nello studio
Felice Casorati
1936
olio su tela
100 x 75 cm (senza cornice);
118,2 x 94 x 7,5 cm (con cornice)
1
Anno di acquisizione 1983-1993
N. Catalogo A83
Inv. 0091
Il nudo al centro della stanza costituisce il fulcro della tela, il perno di un congegno pittorico concepito da Felice Casorati per parlare della pittura stessa. Con Bambino nello studio l’artista ritorna sul tema dell’atelier, il mondo chiuso, ideale e autoriflessivo introdotto nei primi anni della stagione torinese, divenuto nel tempo una delle costanti esemplari della sua intera poetica.
Nell’opera del 1936, la continuità del soggetto è confermata dall’inserimento, sul lato destro, di una tela posata su un cavalletto, citazione letterale da Maria Anna De Lisi, la tempera del 1919 capostipite della serie degli studi (fig. 1)1. In tutti e due i casi, l’artista impagina la tela a margine e sceglie di mostrarne una piccola fascia del retro, consegnando così il fronte alla sfera dell’invisibile, delle ipotesi e della figurabilità. Emblema del mestiere, la tela è specchio e schermo potenziale: posta di fronte al nudo ma nascosta sul bordo, informa sui complessi rapporti tra modello e figura, realtà e rappresentazione. Motivo cardine dell’intero dipinto, quella relazione è declinata e moltiplicata attraverso la teoria di tele (almeno sette) che compongono il poliedro entro cui è incastonato il bambino.
Lo studio è uno spazio assiepato, amplificato nello scorcio a sinistra dall’ombra e dalle linee a pavimento che dirigono lo sguardo verso un fondale scuro. All’interno di questo ambiente dal perimetro sfuggente, Casorati ha innalzato un’architettura salda quanto provvisoria, utilizzando le tele come quinte di un palcoscenico. L’alternanza tra quelle superfici dipinte o ancora intonse evoca i tempi e le fasi della pratica pittorica, dalla preparazione in gesso del supporto alla stesura della sotto pittura ocra, sino ai tracciati delle figure imbastite l’una su uno sfondo scuro, come di lavagna, le altre su campiture bianche sfumate nelle tonalità del grigio- azzurro.
Attraverso la pittura nella pittura, l’artista esibisce un compendio di fonti e di stili, facendo risaltare per contrasto il nudo del fanciullo, la sua anatomia dall’impeccabile purezza classicista, la gracilità delle membra allungate, il pallore dell’incarnato, il volto bruno dai tratti marcati che echeggiano le fisionomie primitiviste di Picasso. Il corpo sorge come una scultura da un foglio-tappeto che funge da piedistallo, ed è sovrastato e vegliato da due imponenti nudi femminili appena abbozzati sulla grande tela di fondo. Con lo sguardo abbassato, una mano posata sul torace e l’altra abbandonata lungo il fianco, Bambino è un’immagine della malinconia, un membro di quell’ideale famiglia di figure solitarie e introverse che Casorati raccoglie spesso in questo periodo sotto il titolo di Ammalata, declinandone la condizione esistenziale con l’eloquenza di gesti che rinviano alla mestizia, al ripiegamento, alla pensierosità. D’altra parte, la reciprocità tra il nudo, il disegno e il monocromo testimonia il dialogo che il pittore, sulla metà degli anni trenta, ha aperto tra figurazione e astrazione, un confronto cercato nella pittura e sostenuto in parallelo anche nel campo della promozione culturale, come attesta l’apertura a Torino nel marzo 1935 della «I Mostra collettiva degli Artisti Astratti Italiani», «ordinata nello studio dei pittori Felice Casorati e Enrico Paolucci [sic]»2.
Fig. 1. F. Casorati, Ritratto di Maria Anna De Lisi, 1919 c. Collezione privata.
In occasione di «25 opere di Felice Casorati», inaugurata in città nel gennaio 1937, il critico e giornalista Marziano Bernardi, organizzatore dell’antologica, restituirà i termini
di quella dialettica con la formula di «astrazione figurativa» (fig. 2)3. L’esposizione, allestita nel salone di rappresentanza del quotidiano «La Stampa», segna l’esordio espositivo di Bambino nello studio. Da poco ultimato, è inserito in una genealogia che l’artista fa cominciare dagli anni venti, con Uova sulla tavola e La donna e l’armatura, e proseguita con Venere bionda del 19334. Il dipinto è esaltato qui tramite due accostamenti stringenti: il primo con Lo studio, rifacimento recente dell’omonimo dipinto del 1923, perduto nel 1931 nel rogo del Glastpalast di Monaco5; il secondo con Icaro, oggi nelle collezioni del Detroit Institute of Arts, nel quale un nudo maschile è raffigurato disteso, un dormiente caduto nel paesaggio (fig. 3)6.
Fig. 2. Copertina del catalogo della personale al Salone «La Stampa», Torino 1937.
Bambino e Icaro, insieme all’Ammalata, ad Anna e a Marilena7, delineano alle pareti della personale torinese un vero e proprio ciclo della vulnerabilità, una forma di resistenza cifrata e silenziosa che oppone un’iconografia della debolezza alle retoriche della prestanza, della salute e della forza, propugnate all’epoca dalla propaganda del regime fascista. «Sotto l’apparente frigidezza dell’arte casoratiana», avverte Bernardi sul catalogo, «nasce quel mondo magico assorto, più propenso alla riserva e alle difese che a un’immediata comunicabilità»8. La riflessione sull’accoglienza del grande pubblico trova spazio sulle pagine dei quotidiani, su «La Nazione» in particolare, dove a Bernardi, sconfortato dal «caso Casorati», ancora incompreso nel 1937 e per di più «in una grande città moderna come Torino»9, risponde sulle stesse colonne Alberto Savinio in un articolo intitolato Il problema dell’intelligenza10. Esposto alla Galleria di Roma, sempre nel 1937, Bambino nello studio entra nella raccolta del musicista e compositore Alfredo Casella, già proprietario di Mattino. Con questa indicazione di proprietà, l’opera è presente alle Biennali veneziane del 1938 e del 1964 e nell’antologica con la quale la Galleria Civica di Torino rende omaggio al pittore a un anno dalla scomparsa.
Come Mattino, Bambino nello studio è acquisito da Francesco Federico Cerruti attraverso lo Studio Sotis di Roma, che lo ha incluso nella mostra «Casorati. Opere 1914/1959», curata nel 1983 da Maurizio Fagiolo dell’Arco.
[Giorgina Bertolino]
Fig. 3. F. Casorati, Icaro, 1936. Detroit, Detroit Institute of Arts, Founders Society Purchase, General Membership Fund.
1 Bertolino, Poli 1995, pp. 215-217 n. 131. Per la datazione al 1919 si veda G. Bertolino, Come deve essere una sala da esposizione? La funzione di Ca’ Pesaro nella carriera di Felice Casorati, in Portinari 2018, p. 119.
2 Pittori Astratti Italiani, invito, Studio di Casorati e Paulucci, via Barolo 2, Torino, dal 4 marzo 1935. In mostra erano presenti Bogliardi, De Amicis, D’Errico, Fontana, Ghiringhelli, Licini, Melotti, Reggiani, Soldati, Veronesi.
3 Torino 1937, p.n.n.
4 Bertolino, Poli 1995, rispettivamente, pp. 230-232 n. 162, tav. XII, ill., 239-241, n. 176, tav. XIV, ill., 339-340, n. 501, ill.
5 Considerato dall’artista un dipinto fondamentale, Lo studio del 1923 bruciò nel rogo del Glastpalast di Monaco nell’estate 1931, nel corso della mostra «Münchener Kunstausstellung 1931 im Glaspalast», e fu ridipinto in una nuova versione nel 1934. Bertolino, Poli 1995, pp. 253-256, n. 212, ill., 352, n. 552, ill.
6 Bertolino, Poli 1995, pp. 359, n. 587, ill.; AlBA 2014-2015, pp. 192-193, n. 47, ill.
7 I dipinti citati sono del 1935-1936. Bertolino, Poli 1995, rispettivamente, pp. 356 nn. 573, 575, ill., 357 n. 576, ill.
8 Torino 1937, p.n.n.
9 Bernardi 1937b.
10 Savinio 1937.