Autoritratto
Gino Severini
1912
Carboncino e pastelli bianchi e blu su carta paglia
76 x 52,5 cm
Anno di acquisizione 2000 c.
Inv. 0173
N. Catalogo A166
Provenienza
Esposizioni
Bibliografia
«Con delle semplici indicazioni dei valori della massa sono arrivato all’arabesco. Le indicazioni di forma e colore ci devono dare la realtà nella sua totalità. Questi disegni sono ritmi plastici».
L’autoritratto è uno splendido esempio della maturità raggiunta dal linguaggio futurista di Gino Severini già alla fine del 1912. In vista dell’esposizione personale che doveva tenersi a Londra (Marlborough Gallery) nell’aprile dell’anno successivo, il 1913, Severini eseguì una serie di importanti disegni «con indicazioni di colore», come si legge nel catalogo, cioè condotti a carboncino con ritocchi a tempera e pastello. Si tratta in prevalenza di ritratti femminili, fra cui quello notissimo della fidanzata Jeanne Fort, figlia del poeta simbolista Paul, che sposerà nell’estate del 1913, e di figure danzanti sotto le luci dei riflettori nei cabaret parigini. La figura maschile dell’autoritratto è, come negli altri, sintetizzata da pochi tratti che tendono a coglierne la presenza nello spazio percepito futuristicamente come qualcosa di fluido e in costante movimento.
Gli elementi concettualmente messi in valore sono la curvatura del cappello a bombetta, il monocolo elegante e più sotto il rigido colletto bianco con la cravatta. Il bianco dello sparato della camicia interseca e invade lo spazio sovrastante del volto trascritto in un modulo triangolare intenzionalmente in contrasto con le morbide linee circolari del resto. Infine in basso, lo spazio tutt’intorno alla figura viene amplificato in quella sorta di orbite rotanti che possono interpretarsi come dislocazioni dell’articolazione della spalla. È un linguaggio originale e già perfettamente configurato che lo stesso Severini nel catalogo della mostra di Londra così spiega: «con delle semplici indicazioni dei valori della massa sono arrivato all’arabesco. Le indicazioni di forma e colore ci devono dare la realtà nella sua totalità. Questi disegni sono ritmi plastici»1. Si comprende da ciò assai bene come il processo di rappresentazione futurista non sia per Severini il risultato di un approccio puramente intuitivo e istantaneo alle forme della realtà percepita ma, al contrario, il frutto di una processo selettivo di natura concettuale che, per mezzo di una risoluta esemplificazione, lo spinge a eliminare i dettagli superflui della figura per evidenziare quelli che, oltre a restituire il senso fisico della forma, alludono anche alla sfumatura psicologica del soggetto. Non stupisce così che una delle più divulgate fotografie del Futurismo storico, cioè Severini all’inaugurazione londinese, mostri l’artista in abito di gala proprio davanti al suo autoritratto, non certo l’opera più importante di quella mostra che ospitava capolavori su tela come Danseuse à Pigalle, 1912 (ora Baltimore Museum of Art) o L’Autobus, 1913 (Milano, Museo del Novecento)2. Una sorta di auto presentazione in chiave di artista di successo, un elegante dandy, un tratto qui in comune con l’immagine pubblica di Marinetti, che ancora una volta dà ragione della profetica attenzione prestata dai futuristi agli elementi impalpabili della comunicazione nel nascente sistema dell’arte. L’esatto contrario della verità: lo stesso artista, nelle poche pagine dedicate all’esposizione londinese, ricorda le terribili condizioni economiche di quella primavera del 1913, con lo studio pignorato dai creditori e i quadri per la mostra bloccati dal sequestro (poi per fortuna risolto dall’amico olandese Dop Bles che finanziò per intero il trasferimento dell’artista e delle opere). Ricorda anche come, nonostante la curiosità del pubblico e l’interesse della stampa, le sperate vendite non arrivarono3. Il n. 22 che s’intravede nella foto storica (fig. 1) ricorre nella scritta autografa sul retro del disegno firmato per esteso in corsivo. Corrisponde agli elenchi, comuni nelle mostre del Futurismo, soprattutto agli esordi, che gli artisti redigevano consapevoli della difficoltà di decifrazione cui andavano incontro le loro opere; anche in considerazione del fatto che fin dall’inizio le mostre collettive, con molte decine di lavori da esporre, si spostavano in tour promozionali in diverse capitali europee; come accadde con la personale londinese che fu trasferita a Berlino nell’estate, mantenendo invariato il catalogo e il numero delle opere, una trentina. Nel 1914, dopo il suo rientro in Italia, l’Autoritratto fu quasi certamente esposto dal gallerista Giuseppe Sprovieri a Napoli, in una grande mostra collettiva, recando sempre il n. 22. Dopo una permanenza in una collezione londinese, è entrato a far parte nel 2000 della Collezione Cerruti.
Daniela Fonti
1 Londra 1913, p. 11, trad. dell’autore.
2 Si veda Fonti 1988, pp. 130 n. 109, 140 n. 129.
3 Si veda Severini 1946, p. 177. A giudicare dal confronto con la mostra apertasi a Berlino nel giugno-agosto 1913 presso la galleria Der Sturm di H. Walden, Severini sostituì con un’altra l’unica opera apparentemente venduta a Londra, il disegno Georgette delle Folies Bergères (Fonti 1988, p. 136, n. 119) peraltro mai ricomparso.
Fig. 1. Gino Severini all’inaugurazione della mostra personale alla Marlborough Gallery di Londra nel 1913.

