Albero Fulminato

Mario Sironi

1930-1931 c.
Olio su tavola
70 x 50 cm
Anno di acquisizione ante 1983


Inv. 0178
N. Catalogo A172


Provenienza

Esposizioni

«Amo la solitudine e la montagna. Le montagne le sento vivere, mi rivelano i loro arcani»

 

Il paesaggio montano sarà uno dei temi più amati dall’artista, che lo tradurrà in numerose versioni a partire dalla fine degli anni venti. 

«Amo la solitudine e la montagna. Le montagne le sento vivere, mi rivelano i loro arcani»1 affermerà l’artista in un’intervista del secondo dopoguerra; in un’altra intervista all’amico Dino Campini egli riferisce sull’origine di questa duratura passione, risalente al «tempo di guerra trascorso sulle vette, nelle caverne alpine, sotto la neve [...]. Dipingere la montagna non è far quel profilo che si vede da lontano, non sono permesse descrizioni del tipo romantico minore percorse da vacche di Millet e cosparse di fiori. La montagna non è giardino, ma tragedia, corruccio di divinità scatenata e furente»2.

La fonte iconografica dello sfondo montagnoso, irto di pinnacoli e di rocce, è la pittura tre e quattrocentesca, in particolare gli amati affreschi di Masolino a Castiglione Olona, dei quali scriverà una decina di anni dopo: 

«Quelle sintesi trecentesche erano, sì, superbe, aride e severe come la terra dove si compivano miracoli ed eventi terribili e mitici, ma le montagne vicine erano pur belle e affascinanti nel volume quadro e immenso delle loro successioni vertiginose [...] in una successione primitiva e infantile ma lontana grandiosa e profonda. [...] Montagne di calce da affresco, rialzata di giallo di Napoli con volumi in tinta rinforzata chiara e limpida nella forma, elemento poetico immediato e potente, sullo sfondo delle storie di S. Giovanni e della perversa Erodiade. Eppure il sapore arcaico delle montagne varesine nelle scenografie bibliche è infinitamente più efficace di molte abili montagnerie realistiche e turistiche della pittura d’oggi»3

Uscendo dall’astrazione filosofica delle sue prove «neoclassiche» della metà degli anni venti, verso la fine del decennio si profila nell’artista una svolta brutalmente materica, espressionista, che porterà Sironi a un chiaro sviluppo gestuale della pennellata, a un’accentuazione plastica della materia che culminerà nel gruppo di opere esposte alla Quadriennale romana del 1931. Dal 1926 Cecchi riconosce l’insorgere di un gusto che egli definisce «secentesco», e che riguarda il pittoricismo mosso seppur rivolto a un’«astrazione statuaria»4, che «riconduce la figura umana in una strana preistoria»5; spesso si sottolinea il suo cerebralismo6. Nel 1929 anche Oppo, autorevolmente, individua l’evoluzione di questi caratteri, ormai maturata in evidente espressionismo: «[...] violenta e forte pittura. Qui torna a gridare le asprezze di un dramma artistico ove i protagonisti sono il seicentismo e il novecentismo a contrasto»7

È però alla Quadriennale del 1931, dove Sironi mostra le sue ultime opere, che si presenta ormai un ductus violento ed espressionista, sommario, esuberante: emerge chiaramente un riferimento a Rouault, sottovalutato dalla critica contemporanea ma già allora sottolineato da Marziano Bernardi8 e ripreso da Pallucchini:

«Senza dubbio Mario Sironi è il più ardito innovatore del momento pittorico attuale; con una turbolenza degna di un Rouault, egli agita nelle sue pitture un’enfasi chiaroscurale secentesca. Le sue composizioni, veri incubi pittorici, sono spesso ordinate in un’atmosfera polemicamente cerebrale [...]. Il fenomeno della sua pittura è l’indice di un gusto della sua epoca, tendente all’abnorme, all’assurdo, al mostruoso, non tanto di origine latina, quanto piuttosto serpeggiante in certi strati malati delle culture europee»9

Il tormento, l’agitazione, il furore goticizzante, l’eroismo romantico sono i termini più frequentemente usati dalla critica per definire le sue ultime opere alla Quadriennale del 1931. Questo dipinto di efficace impianto spaziale appartiene alla prima fase in cui Sironi affronta autonomamente il tema amatissimo delle montagne, che in seguito svilupperà ampiamente, fino alla sua morte, con instancabile passione. Non mancano alcuni esempi precedenti, come nelle illustrazioni fin dal 1921- 1922, o gli inserti anche imponenti in quadri come Viandante (1926) o la Famiglia (1927-1928) della Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma. Tuttavia è in quest’epoca che nasce un vero e proprio «ciclo» di dipinti in cui le montagne, nel loro isolamento austero e grandioso, sono le protagoniste assolute della composizione. Largamente dipinte, divengono per Sironi un tema intensamente lirico e meditativo, romantico. La pittura è materica e spessa, di un espressionismo gestuale che sarà portato a esiti di straordinaria forza drammatica; intere zone sono risolte approssimativamente, quasi «barbaramente»; la gamma cromatica dei bruni si illumina negli azzurri e nei bianchi del cielo. 

Databile tra il 1930 e il 1931, questo paesaggio esprime il violento pathos espressivo che Sironi comunica in quell’epoca alla materia pittorica: come scossa da un vento che deforma senza distinzione alberi, colline e rocce. Di questo tipo dovevano essere quei paesaggi esposti alla Quadriennale romana del 1931, «aspri e tempestosi ma [...] sciolti e sicuri»10. La presenza isolata e assoluta dell’albero scarno ha l’intensità di un personaggio, nella divaricazione dei rami protesi come braccia. L’opera era già nella Collezione Cerruti nel giugno del 1993, come attestato dall’inventario manoscritto dei beni della villa di Rivoli redatto in tale data. 

Fabio Benzi

 

1 Danti 1956.

2 Campini 1953.

3 Sironi 1937.

4 Cecchi 1926; si veda anche in «La Fiera Letteraria», 21 febbraio 1926. L’aggettivo «secentista» viene usato per la pittura di Sironi anche da Margherita Sarfatti (Sarfatti 1931b), dopo che ella stessa ne aveva contestato la correttezza dell’impiego nel 1926 (Sarfatti 1926): al torno del decennio la pittura sironiana era ormai soggetta a un pathos pittorico ed espressivo esplicito.

5 Becca 1926.

6 Si vedano Pavolini 1926; Becca 1926; Oppo 1926, pp. 225-228.

7 Oppo 1929.

8 Bernardi 1931.

9 Pallucchini 1931.

10 Ibid.